domenica 1 settembre 2013

"Così avrò piedi asciutti da mettere nei miei stivali bagnati"

Il pomeriggio del 21 agosto pioveva a dirotto, diluviava, un muro d'acqua e un muro di nuvole basse sulle montagne intorno al mare. Non vedevo così tanto grigio dai tempi della gita invernale a Pula.

La giornata perfetta per l'orienteering. In breve: ti danno una mappa topografica della zona su cui è segnato un percorso, un punto di partenza e uno di arrivo. Tu devi basarti sulla mappa per completare il percorso senza perderti e finire a Westeros, magari in tempi decenti, non mettendoci 2 anni e mezzo.
Ma così è troppo facile.



Petur, il capogruppo, riunisce tutti quelli che non hanno fatto in tempo a correre nella capanna e ripararsi: "Voi iniziate con l'orienteering" dice: "Poi voi tornate, gli altri escono, voi entrate e loro fanno orienteering".
Normalmente sembra la copia schizzata di Bruce Dickinson, sotto il diluvio con quello strano berretto in feltro grigio e ponpon che si agita quando gira la testa sembra ancora più schizzato del solito: parla, indica il paesaggio, si raccomanda di fare attenzione, poi distribuisce la "mappa" dell'orienteering. Altro non è che un foglio con delle indicazioni, niente disegni, niente mappa.

Il tempo che il foglio impiega a passare dalla sua mano alla mia è già inzuppato. Cerco con lo sguardo occhi familiari emergere da quelle masse di sciarpe, cappucci e giubbotti allacciati fino al mento. Incrocio quelli di Fern, la ragazza inglese che studia francese e tedesco, e il suo sguardo trasmette un misto di sofferenza e rassegnazione. Petur batte le mani, sorride e ci indica le montagne "Divertitevi".
Poi scappa nella capanna.

"Ci hanno fregati, son riusciti a entrare"
"Eh sì. Che tempo..."
"Lascia stare. Dove dobbiamo andare?"

Guardiamo il primo indizio:

Farið að ósnum, þar sem Gísli og fjölskylda hans lentu. þar er annað ljósrit af þessum texta. Hvað heitir ósinn?

Alla parola ósnum il foglio si è sciolto.
Dobbiamo andare dove sono sbarcati. Sbarco-> mare, mare-> spiaggia.

Þingeyri è uno dei più antichi porti dei Fiordi Occidentali islandesi e quel giorno, grazie alla nostra presenza, la comunità è riuscita a superare i 310 abitanti (di solito sono 260). Il paese è composto da una via principale e una manciata di vie laterali.
Poi pascoli. Pascoli. Pecore e mare.
Suscita un certo interesse perché è un ottimo punto di partenza per le escursioni (quando c'è bel tempo, ovvero 4 giorni l'anno) e perché è l'area in cui si sono svolte le vicende della Saga di Gisli (http://it.wikipedia.org/wiki/G%C3%ADsla_saga) il motivo per cui ci trovavamo lì.

Il resto del gruppo si era già disperso in cinque direzioni diverse. Guardiamo verso la distesa di sassi bagnati che forma la spiaggia dove una ragazza (almeno credo) con una giacca rossa ci fa segno di raggiungerla: appena ci avviciniamo riconosco la nostra compagna di classe "Mezza finlandese, un quarto svedese e un quarto americana, una strana combinazione" (si presenta così) che dice di aver capito dove deve andare.
Per comodità l'ho memorizzata come Fanny, la fenice di Harry Potter.
Fanny ci sventola sotto il naso quello che resta del suo foglio di orienteering e indica un punto indefinito verso il litorale sassoso.

Segue una comoda passeggiata di 10 minuti controvento sui sassi bagnati. Una scozzese agguanta una pecora con una zampa intrappolata nel filo spinato e cerca di liberarla con l'aiuto di due tedeschi. La liberano, ma la povera bestia ha la zampa in cancrena:
"Ma è così grave?" chiede Fern
"Secondo me devono amputare, in Finlandia facciamo così" risponde Fanny
"Ma che amputare" sbotta il canadese che ha il coraggio di mettere gli occhiali da sole nonostante i 3km di nuvole che coprono il sole: "Va abbattuta"
"Ma no"
"Ma sì"
"Ma povera pecora"
"Sai quanto costa un veterinario?"
"Ma povera pecora!"



Lasciamo le operazioni di soccorso e rientriamo sulla costa erbosa. Un gruppo s'è radunato intorno alle rovine di una casa: riconosco l'attrezzatura da passeggiatore professionista azzurro fluo e la giacca con la toppa dell'Università di Basilea di Lukas, attrezzatissimo rispetto al tedesco in felpa o all'altra canadese che ha avuto la brillante idea di mettersi le scarpe col tacco. Lukas indica il filo spinato arrugginito che circonda le rovine, invisibile sotto quel muro d'acqua.

"Quindi... questo era il primo indizio?"
Fern scrolla le spalle.
"E ora?"
"Prossima tappa. Hai ancora il tuo foglio? Il mio s'è sciolto"

Farið að nýlegum húsarústum niðri í fjörunni. þar er næsta verkefni. Skrifið á bakhilð.

"Ma è questa la casa vicino alla spiaggia..."
Fanny indica le montagne e sostiene che dobbiamo andare in quella direzione.

La mia giacca assolutamente non impermeabile era impregnata di acqua e la pioggia non accennava a smettere, neanche quando abbiamo lasciato la strada per entrare nel pascolo. E per "pascolo" intendo un enorme prato di erba alta mezzo metro senza sentieri o percorsi artificiali. I fiumi sotterranei erano difficili da vedere e attraversare un tronco sul ruscello col vento non è stato semplice, ma 20 minuti abbondanti dopo eccoci in cima a una specie di collinetta erbosa.




Il vento era insostenibile, buttava letteralmente per terra. Ho visto una ragazza venire buttata nel fango come se fosse stata appena colpita da un destro di Rocky Balboa.
Di procedere non se ne parlava. Mi guardo intorno: Fern stava lamentandosi dei piedi bagnati, Lukas e il canadese aiutavano la ragazza ruzzolata nel fango che ora sembrava Shakira alla fine del video di Suerte quando si rotola in una pozza fangosa. Un'americana ha preso talmente tanta acqua in faccia che le ha fatto sciogliere il mascara e ora sembra Alice Cooper. La francese bionda, invece, pare Kesha. Si avvicina una tedesca a piedi nudi, che tanto "Piedi bagnati per bagnati".

Fanny s'è allontanata e sta parlando con un signore anziano mai visto prima che cerca di difendersi dalle intemperie con un ombrello azzurro.

"Cosa stiamo cercando?"
"Un sasso con del sangue rappreso sopra"
"...scherzi? Non era la casa sulla spiaggia?"
"No, quella l'abbiamo già vista"
"Quanti indizi mancano?"
"Cinque"

Tra le montagne le nuvole sono diventate nere e il vento s'è fatto talmente forte che se non ci aggrappiamo l'un l'altra ci sbatte per terra. Ogni passo ora è come mettere un piede in un torrente gelato. La pioggia ha ormai impregnato la giacca e sento le braccia bagnate.
Penso alla piscina riscaldata dietro casa mia, alla mia stanza col calorifero acceso e la volpe artica che sbircia dalla finestra prima che il padrone di casa esca a darle la caccia con un'ascia.
All'hamburger col pane fatto in casa e al bicchiere di Brenvinn, la grappa verde da 80% di alcool creata per nascondere il sapore della carne di squalo putrefatta.



Con una certa amarezza, mi viene in mente di quando ho passato un pomeriggio all'ostello di Reykjavik a ridacchiare per i campeggiatori rimasti sotto il diluvio che si era abbattuto sulla capitale mentre io avevo una splendida camera (condivisa con altre 15 persone, ma vabbè) e un letto caldo dove dormire.

Decidiamo di scendere dalla collina. Io e Fern ci salviamo a vicenda un paio di volte dalla morte o contro un sasso (la mia) o per ibernazione in un torrente (la sua). Attraversiamo un punto in cui l'erba fradicia ci arriva alla vita e sentiamo delle bestie muoversi al suo interno.
Il collegamento con la scena dei velociraptor in Jurassik Park: il mondo perduto è immediato e per nulla rassicurante.

Il tronco di un albero a uso ponte ci riporta al prato quasi normale.
Meno di 5 minuti controvento e siamo al riparo.
"Provo un sacco di rispetto ora per i vichinghi" ulula Fern: "Io non sarei stata qui neanche mezza giornata"
"Quanto c'è rimasto Gisli? Due anni?"
"Due anni"

Massimo rispetto.
Ma non baratterei mai niente di tutto questo per una settimana in spiaggia.


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