martedì 31 maggio 2011

Promemoria #1


Promemoria tesi: Dove i pendolari meneghini scelgono di sedersi in metropolitana


Le tesi interessanti sono quelle che riguardano temi comuni ed esperienze condivise. Per questo una tesi bella e originale sarebbe quella sul comportamento della gente in metropolitana, nello specifico, la scelta del posto.

Nel mio breve tragitto con la rossa ho la fortuna di partire dal capolinea (Rho Fiera) e toccare fermate con un relativo numero di gente: l'unica di un paese (Pero), il capolinea di varie linee d'autobus (Molino Dorino) e un quartiere densamente abitato e densamente brutto (San Leonardo).

Bene. A Rho Fiera la metro è vuota, a Pero sale ancora qualcuno, a Molino c'è la caccia al posto. Se non è un orario di punta, il pendolare ha ancora il lusso di poter scegliere dove sedersi e, quasi sempre:

-tutti cercano di sedersi nei posti esterni;
-la maggior parte delle persone tende a scegliere i posti che danno le spalle all'altro binario;
-tutti evitano i posti in fondo in fondo alla carrozza;
-le donne/ragazze si siedono vicino ad altre donne/ragazze;
-gli stranieri, i capelloni e gli uomini con la barba folta si creano il vuoto attorno;
-i vecchi puntano un posto e fanno scatti alla Usain Bolt;
-se c'è un posto per 5 persone che l'hanno puntato scatta la corsa, abbastanza discutibile, con salto finale sul posto. Nessuna pietà per vecchi, donne e bambini, chi grida più forte la vacca l'è sua.

Ci dev'essere una formula matematica dietro tutto questo, ci deve essere...

dimenticavo:
-tutti cristano se si beccano la metro supermoderna con l'annunciatrice che rompe da Pero in poi ricordandoti fermate, dove si scende, collegamenti con altre linee in italiano e inglese (corretto da un'anima pia che non ne poteva più di sentire "please, exit" [Questo è un calco! cit.] al posto di "please, get off the train").

Utile eh, ma aspetta di fare stazioni come Cadorna e Garibaldi, che hanno una lista di collegamenti con altre linee lunga come il mio avambraccio.

lunedì 30 maggio 2011

Urlando al demonio

Tra i miei rapporti di amore odio c'è sicuramente quello con i soldi, come capita a molti altri, credo. Insomma, basta tenere conto che non uso il portafoglio come 3/4 delle persone normali, preferisco di gran lunga le tasche dei jeans, col risultato che quando capita di tirare fuori un 10 euro (o un 20 a essere fortunata) tutto spiegazzato sembro uno spacciatore che ha appena venduto una dose.

Le mie tasche inoltre pullulano di spiccioli, come il mio portafoglio inutilizzato pullula di vecchi scontrini e corone svedesi. Capita manca un'ora all'arrivo del mio treno e capita che passo in edicola a dare un'occhiata agli scaffali. Capita che ormai ho rinunciato alle riviste di musica e mi butto direttamente sui fumetti, evitando i manga dai costi lievitati e le serie americane infinite. A mio rammarico, adoro tutto quello che è fumetto ed è sempre una sofferenza non poterli prendere tutti.

Così ho preso l'ultimo numero di uno dei pochi fumetti che prendo con regolarità, John Doe, che, ovviamente ho finito prima di arrivare in stazione, rischiando un frontale con un palo, un volo dalle scale e una zuccata a un addetto delle pulizie di Rho Fiera.

Ho sempre pochi soldi, perchè comprare fumetti che finisco in 3 secondi e mezzo?

Shout at the Devil -Motley Crue
Devil in Disguise -Elvis Presley
Helter Skelter- Beatles
Devil inside -INXS
N.I.B. -Black Sabbath
Paradise City -GnR

e un vecchio albo con Bed of Nails di Alice Cooper (leggendo la
traduzione italiana chiedersi "Ma io questa la conosco, ma cos'è?". Eh sì, sono tarda, scusa Alice) e un altro con Stairway to Heaven.

Come si fa a dire di no a una playlist del genere?

E vacca rana se non era figo sto numero.

mercoledì 25 maggio 2011

23 is niet genoeg voor mij

Oggi, 24 Maggio 2011, ho rifiutato per la prima volta un voto finale di un esame ( lettura di un testo in inglese e traduzione simultanea in italiano nobilitata con il nome di "traduzione a vista").

Potrò ridare quest'esame solo a settembre quando, si spera, sarò già su a Leida in Erasmus. Si spera.

Ora, a prima vista uno potrebbe pensare: "Perché rifiutare il voto andandosi a ingolfare in date assurde, sapendo già che non prenderai mai un aereo dall'Olanda per tornare e fare un esame di cinque minuti? E che questo slitterà, pensando positivo, a febbraio se non a giugno 2012?" Questione di orgoglio di non scendere al di sotto di quella "soglia 25" che ci si era imposti? O solo gusto sadico di complicarsi la vita alla ricerca di inutili bagarre?

Ah, vero, non devo usare "bagarre". Non sono Guido Meda.

In ogni caso, quell'esame l'ho dato e quel voto non c'è, per mia scelta personale, sul libretto. E devo dire che non mi dispiace affatto :D

domenica 22 maggio 2011

Evoluzionismo poco darwiniano


Dovrei studiare, non cazzeggiare in questi giorni, ma ieri sono inciampata, del tutto inconsapevolmente lo giuro, in un episodio della prima serie dei Cavalieri dello Zodiaco, quella degli anni Ottanta.Li trasmettevano quando avevo circa... ehm... 6-7 anni (mi pare fosse intorno al 1997), prima su Telelombardia, poi finalmente su Italia 1 e, oh, li adoravo. Loro e Sailor Moon. Una scelta molto equilibrata, devo ammettere, passare dalla scalata alle 12 case a una bionda svampita che implora l'aiuto del cavaliere mascherato.

Sailor Moon ultimamente sta godendo di una nuova primavera, vedo prodotti ovunque e ho anche visto apparire in edicola la nuova edizione del manga (copertine in plastica fantastiche, ma checcavolo, 5 euro? No, dico, 5 euro?!).

I cavalieri li abbiamo persi negli archivi Mediaset. Ammetto che mi affascinava tutta l'idea di fondo delle costellazioni e non si può non riconoscere la genialità di Kurumada nel rielaborare un tema che avevamo sotto gli occhi (anzi, sopra le nostre teste) tutto il tempo in modo così originale e accattivante.
Un po' come Kishimoto ha fatto con i ninja in Naruto.
Ammetto, però, che all'epoca facevo un po' di fatica a seguire i dialoghi e che mandavo avanti gli episodi registrati su cassetta col logo di Telelombardia in basso a destra (ah, la preistoria!) quando iniziavano a parlare di moralità, rispetto per l'avversario, forza di volontà.

Riprendendoli adesso questi discorsi e il loro sublime doppiaggio hanno un senso e un filo logico, il che nobilitava i cavalieri rendendoli, a mio avviso, una produzione di gran lunga superiore a quelle che giravano all'epoca (mi riferisco tra gli altri a Ranma 1/2, Dragon Ball, che adoravo, mettiamo in chiaro, ma erano tutt'altra cosa: Goku e compagni preferivano monologhi a urli da far invidia a Rob Halford degli anni migliori e i flussi di coscienza di Ranma erano sostituiti da una sovraesposizione di tette e mutandine).

La cosa che non ho mai e dico MAI amato dei Cavalieri era il manga originale, arrivato in Italia nel 1992 (avevo 2 anni all'epoca, per questo il primo numero originale l'ho preso a 11 anni) con la Granata Press (la stessa di Ken il Guerriero, Ranma 1/2 e Lady Oscar per esempio).
Fallita la Granata, la Star Comics si è incaricata di portare avanti le avventure dei Cavalieri, ma diciamocelo: i disegni, a mio avviso, era
no davvero pessimi.

Non ho nulla da dire sulla storia, ma tuttora quando trovo i miei vecchi manga e vedo quei visi storti e spiattellati sul foglio, talvolta senza proporzioni, come la grafica di Pokèmon Blu per il Game Boy Color mi viene la tristezza addosso.

E mi sa tanto che la tristezza è venuta anche a quelli che ci hanno dovuto lavorare per creare l'anime. Non solo avevano il problema dei disegni, ma avevano anche il problema colori: nel bianco e nero del manga, infatti, i personaggi biondi con armature d'oro (più di quelli che si immaginano) non davano fastidio. Nell'anime avrebbero dato fastidio come le piastrelle bianche del marciapiede in Corso Buenos Aires sotto il sole di Luglio, per intenderci.

Ed ecco spiegato l'abbondanza di personaggi con capelli blu/verdi nelle prime serie (guerra galattica, le 12 case, Asgard e Nettuno). Il doppiaggio, come ho già detto, era sublime, la qualità dell'anime era splendida per l'epoca e il successo è stato enorme. Ma all'appello mancava la serie di Ade. La serie classica terminò nel 1989.

La primavera dei Cavalieri dello Zodiaco è arrivata nel 2002, quando, finalmente, anche la serie di Ade ha avuto la sua trasposizione in anime. Colori brillanti delle nuove tecnologie hanno permesso di ravvivare quel festival funereo di nero-grigio scuro- grigio ponga-viola e un'esplosione di personaggi con gli occhi verde ringhiera ha rilanciato Pegasus e compagni.

Non si può dire lo stesso della loro versione cartacea. Salvando il salvabile, nel 2002 partì il nuovo manga, Episode G, una specie di preludio alla serie classica e alla scalata delle 12 case. Storia interessantissima, ma di nuovo sbagliati i disegni, questa volta affidati a Megumu Okada, dallo stile più vicino a quell'abominio sdolcinato e colorato di Principesse Sirene, col risultato che i personaggi avevano gli occhioni grandi e i fisici minuti delle principesse canterine, mancavano giusto i microfoni e i bikini a forma di conchiglie. Per la cronaca, la serie è ancora in corso, i cavalieri, non le sirene, grazie al cielo.

Non solo l'anime, anche i film dei cavalieri andavano forte, il problema è sempre stata la versione cartacea. Nel 2006 è stato quasi (e dico quasi) un sollievo vedere Kurumada rimettersi al lavoro con le illustrazioni di Next Dimension-Myth of Hades che riprende la serie di Ade rivedendone gli avvenimenti e modificandoli attraverso salti temporali.
Nel 2006 avviene anche il miracolo cartaceo: mescolando lo stile di Kurumada a quello dell'anime, Shiori Teshirogi, oltre ad essere la prima donna a mettere concretamente mano alla serie, rilancia anche i cavalieri in versione manga con Lost Canvas. Volumi piccolissimi dal prezzo più che abbordabile e con disegni che rendono finalmente giustizia a tutta la saga.

Per calmare i fan che avrebbero obbligato la Teshirogi a ridisegnare tutta la serie pur di vedere anche un solo cavaliere con la faccia dritta e non a forma di trapezio spastico, i personaggi di Lost Canvas sono la copia sputata dei personaggi della serie classica (vedi i cavalieri d'oro, addirittura con le stesse pettinature e simpatie/antipatie tra di loro). Cosa mancava alla perfezione di Lost Canvas? La serie animata, iniziata nel 2009 e tuttora in corso.

Ok, ci sono ancora un paio di racconti in sospeso e anteprime che Kurumada ci ha fatto assaggiare, ma che tiene ancora gelosamente nascoste negli anfratti della sua scrivania, ma per ora ci accontentiamo di Lost Canvas. E delle fanart che, permettetemi, talvolta sono anche meglio delle illustrazioni originali.

venerdì 20 maggio 2011

Himnarìki og helviti


"Nulla mi è delizia, tranne te.

Milton era cieco come il capitano, un poeta inglese che aveva perso la vista da adulto. Aveva composto versi nelle tenebre e sua figlia li aveva trascritti per lui. Per cui rendiamo grazie alle sue mani, che speriamo abbiano avuto una vita propria al di là di quelle poesie, speriamo abbiano potuto abbracciare qualcosa di più caldo e di più morbido dello stelo di una penna.

Ci sono parole che hanno il potere di cambiare il mondo, capaci di consolarci e di asciugare le nostre lacrime. Parole che sono palle di fucile, come altre sono note di violino. Ci sono parole che possono sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore, e poi si possono anche inviare in aiuto come squadre di soccorso quando i giorni sono avversi e noi forse non siamo né vivi né morti.
Ma le parole da sole non bastano e finiamo a perderci nelle lande desolate della vita se non abbiamo nient'altro che una penna a cui aggrapparci.

Or scende la sera a deporre il manto greve d'ombre su ciascuna cosa.

Versi composti in una tenebra che non si dirada mai da quegli occhi, trascritti da una mano femminile, tradotti in islandese da un reverendo dotato di ottima vista ma che a volte viveva in tale indigenza da non avere nemmeno la carta per scrivere e doveva usare il cielo sopra la valle dell'Horgà come foglio".
[Jon Kalman Stefansson, Paradiso e Inferno]


Dat is prima, direbbe un olandese.
è quasi l'una di notte (del mattino, per chi preferisce una visione più pessimistica accorciando il tempo e saltando già al mattino del caffè in cucina e del treno da prendere). Dicevo, quasi l'una del mattino e io, accompagnata dai brani di Still Loving You degli Scorpions sto trascrivendo un passaggio che, a mio dire, è semplicemente perfetto, un estratto di letteratura moderna islandese, così snobbata, così assente dalla mente dei lettori nostrani e dalle pagine della critica.

Un vero peccato.

I'm still living for tomorrow
I'm living for today
Cause love will find a way, my friend
Whatever it will take

I'm still living for tomorrow
I'm living for today
Why don't we try today, my friend
To make this world a better place?
(dite e pensate quel che volete, ma qui Meine e compagni sono fantastici).

Ok, è l'una passata.
Dat is prima!

domenica 15 maggio 2011

This is just creepy!

« Il fanatismo consiste nel raddoppiare i tuoi sforzi quando hai dimenticato lo scopo ultimo del tuo impegno »

[G. Santayana, Life of Reason vol.1]

Stupidamente (e anche abbastanza ingenuamente) ho sempre creduto che le schiere di fan piangenti, urlanti e più interessati al personaggio famoso in sè che alla musica o alle idee che rappresenta fossero un'esclusiva di quelle band costruite a tavolino, quelle da "una stagione e via", tipo Tokio Hotel, Justin Bieber e tutte quelle band emerse dalle ceneri di Playhouse Disney USA.

Mi sbagliavo. E di brutto.

Non sono nel giro di quel tipo di musica, ma siamo talmente tempestati da informazioni su quel genere di musica che sfido chiunque ad aver mai aperto una pagina di un quotidiano qualsiasi e non essersi trovato una notizia su Britney

Spears qui, una piccola apparizione dell'ultima starlette americana là...

Le band che seguo di solito rimangono nell'ombra (nel senso che se vuoi informazioni te le vai a cercare, a parte quella volta in cui gli Iron Maiden sono stati pubblicamente osannati al Tg2 e ammetto di aver rischiato una sincope quando è successo).

Ma torniamo al problema fan.

Lo scorso 22 Aprile sul sito ufficiale dei Judas Priest (mi basta dire che è una band di dinosauri dell'hard rock inglese e che per sapere altro basta una visita a http://it.wikipedia.org/wiki/Judas_Priest) appare un aggiornamento in cui si dice che KK Downing, fondatore, chitarrista e compositore della band molla baracca eburattini a 2 mesi dall'Ephitaph Tour.

Sgomento e sconcerto, insomma.

Non è stata neppure una di quelle notizie sussurrate nell'aria da tempo, quei "Se ne va? Non se ne va? Che cavolo fa?". Il silenzio dei 2 giorni successivi ha fatto preoccupare non poco (bisognerebbe dire ai signori inglesi che non è carino dire "Me ne vado" e non dire il motivo, è come lanciare una bomba).

Fatto sta che alla fine si è scoperto che lascia per "dissidi con il resto della band e il managment". Ok, bene.

Risparmio i mille discorsi sul "Sapevano che se ne andava, perché hanno continuato a vendere i biglietti del tour?" o "Quel cazzone potrebbe stringere i denti e fare un ultimo tour".

Sinceramente, non me ne frega nulla.

Mi concentrerei di più sui centinaia di commenti che dal 22 Aprile animano il dibattito e soprattutto su quelli a lui direttamente indirizzati.

E qui parte la distinzione:

Questi sono commenti da fan: "Grazie per i concerti fantastici, la vostra musica e i ricordi. Ti auguro il meglio" o "Sarà triste vedere i Priest senza KK!"

Questi sono commenti da fan(atici): "KK mi dispiace per la tua decisione, ma semmai ti annoiassi potresti chiamarmi, ti sposerei volentieri e ti occuperei la giornata, amore mio" o "CON OGGI SONO 8 GIORNI. Ken, ti prego, parlaci, dicci qualcosa. Ogni giorno che passa senza che tu dica nulla è uno schiaffo dolorosissimo per me e gli altri (e il commento va avanti per la bellezza di 12 righe)"

Forse letti così non hanno lo stesso effetto di leggerli in inglese, nella loro interezza e nell'ordine con cui sono pubblicati (questi commenti inquietanti hanno più o meno sempre gli stessi autori e sono lunghi il triplo di un messaggio normale).

Ora mi chiedo: se questi commenti morbosi e inquietanti fossero indirizzati a me avrei i brividi ogni volta che ne leggerei uno.

Se fossi io l'autrice di tali commenti mi vergognerei nel momento stesso in cui li scrivo, ma soprattutto non mi passerebbe mai per la testa di scriverli.

Su Blabbermouth (uno dei siti più importanti per le notizie di musica rock-metal e affini) durante uno di questi dibattiti, un utente ha fatto presente la cosa all'ennesima fan che non disdegnava di diventare l'eventuale sex toy di un ex chitarrista sessantenne, dicendole "Hey, that thing is just creepy!" ("Hey, quella cosa [che hai scritto] è davvero raccapricciante!"), la signorina/signora/che ne so ha risposto: "Non posso neppure esprimere la mia opinione adesso!?"

Non credevo che un dinosauro del rock come KK Downing (dinosauro nel senso buono, è sempre stato uno dei miei musicisti preferiti) potesse risvegliare questi appetiti morbosi tra i suoi fan.

E spesso nel leggere cose del genere mi chiedo: siamo tutti fan, ma rischieremmo di diventare fanatici se mai ne capitasse l'occasione?

Appurato, dunque, che ogni personaggio famoso ha un suo zoccolo duro di fanatici oltre ai fan normali, continuerò a leggere i dibattiti sull'argomento, saltando a piè pari commenti da fan(atici), ma leggendo (e spesso appoggiando) quelli dei fan: mi dispiace che KK ha lasciato, ma

"Dude, life goes on: Priest is not dead. Not yet".

venerdì 13 maggio 2011

Il culto delle principesse non è una favola

Già ho litigato non poco stasera per far funzionare questo dopo anni passati a saltare da Splinder (troppa manutenzione, troppo da aggingere, poi troppo da modificare, insomma... troppo) a Fotolog (bello eh, ma 2000 richieste di attenzione da parte di Sudamericani al giorno erano diventate insopportabili).

Proviamo qui, non costa niente (per ora). E dopo tutta la fatica che ho fatto per trovare il nome dell'URL come minimo almeno UN post devo mettercelo.


Inaugurerei il tutto con un commento di Laurie Penny (giornalista britannica, columnist del settimanale New Statesman e collaboratrice del Guardian) tradotto e pubblicato su Internazionale questa settimana. Uno dei tanti articoli di opinioni che partono dall'ormai ha-rotto-tutto-quello-che-c'era-da-rompere matrimonio di William e Kate, ma uno dei pochi che meritano di essere letti.


Il culto delle principesse non è una favola
Kate Middleton è la perfetta principessa di oggi, nel senso che appare sostanzialmente senza carattere: una bambola da vestire per l’epoca dell’austerità. Con un sorriso perenne.

C’è una principessa nella testa di ognuna di noi. Dobbiamo distruggerla. Mentre la stampa continua a banchettare sul culto di Kate Middleton, le imprese lucrano sull’insaziabile appetito delle ragazze per i gingilli principeschi: diademi fasulli e manuali di moda alimentano la speranza collettiva che un giorno, se saremo abbastanza buone e belle, anche noi potremo sposare un principe.

Quest’ondata zuccherosa di kitsch rosa scintillante è cominciata a metà degli anni ottanta, amplificando un innocuo sogno a occhi aperti fino a trasformarlo in una spaventosa allucinazione collettiva di buone maniere premiate con privilegi regali. Da quando Disney ha lanciato la sua linea di prodotti Principesse, nel 2000, puntando a infilare tre o quattro ninnoli luccicanti nella stanza di ogni ragazzina, l’ondata è diventata uno tsunami. La linea Principesse ora vale quattro miliardi di sterline ed è il più grande franchise per bambine del mondo. Ma la fiaba non coinvolge solo le più piccole: anche le donne adulte giocano a mascherarsi, organizzano feste in costume da principessa e accorrono a vedere il vestito da sposa di Diana che fa il giro degli Stati Uniti, mentre scrittrici serie dedicano lunghi articoli molto approfonditi ai minimi dettagli dell’esperienza postnuziale di Kate. Siamo tutte impazzite?

Kate Middleton è la perfetta principessa di oggi, nel senso che appare sostanzialmente senza carattere: una bambola da vestire per l’epoca dell’austerità. I nuovi muscoli reali sembrano così rigidamente contratti in quel perenne e lucidato sorriso di docile modesta arrendevolezza che quando ha aperto la bocca per parlare durante la cerimonia in mondovisione, sono sobbalzata sulla sedia. Alla fine si è scoperto che ha detto solo “Sì”, come se qualcuno avesse tirato una cordicella dietro quell’abito principesco per attivare una suono di rituale accettazione.
Per essere una fiaba è sorprendentemente priva di fantasia.

Il breve cammino di Kate da figlia di un milionario a duchessa di Cambridge è stato malamente adattato al vecchio schema di Cenerentola, con commentatori sdolcinati impegnati a descriverla come una donna qualunque che, grazie al fatto di essere carina, poco invadente e opportunamente sottopeso, ha ottenuto in prestito un diadema da principessa e una vita di confronti con la madre di William, tragicamente scomparsa. Middleton non è certo la ragazza della porta accanto, ma il culto della metamorfosi in principessa è, a ben vedere, un culto di mobilità sociale, una fantasia di tradimento di classe grazie alla quale le brave bambine crescendo riescono a ottenere cameriere e maggiordomi. Famosi libri per ragazzi come Il manuale della principessa hanno interi capitoli su come trattare la servitù. Questa è la suprema fantasia della metamorfosi, una favola di autopromozione con volant e lustrini che si dà il caso implica una rigorosa osservanza delle regole della femminilità contemporanea: sorridi e sta’ zitta, sii bella e fatti strada, così verrai ricompensata.

Lo stesso principe azzurro, come osserva Peggy Orenstein nel suo ottimo libro Cinderella ate my daughter (Cenerentola ha mangiato mia figlia) è “secondario rispetto a questa fantasia, nella migliore delle ipotesi una deplorevole necessità”. Una volta infilato l’anello reale al regal dito, una volta acciuffato il vostro principe, nel mondo del reality farsesco e davvero inquietante in onda su Sky, Principe cerca moglie, la sua parte nella storia è finita e la realtà della vita coniugale non compare affatto. Questa visione spietata e mercenaria delle relazioni non è certo un modello positivo per i giovani.

Orenstein osserva che questa principemania è concepita da alcuni genitori come una forma di difesa dalla “sessualizzazione precoce”: il portamatite con il coniglietto di Playboy e le magliette da lolita che altre bambine reclamano a gran voce. Le principesse sono viste come una innocente fantasia che offre virtuosi vantaggi rispetto ai lecca-lecca e ai volteggi intorno al palo della puttanaggine adolescenziale. Sono l’unica a trovare questa scelta non proprio entusiasmante? Alle ragazze vengono offerti due modelli antitetici di femminilità docile e pseudoliberata: la principessa e la pornostar. È un’alternativa che esiste da secoli: vergine o puttana, un bel principe o un bel pappone, chi ti vuoi scopare per conquistare fama e fortuna? Oggi lo spettro colorato delle aspirazioni femminili va solo dal pallido rosa pastello allo sgargiante rosa sexy, con un’occasionale deviazione per il bianco nuziale. Ma lì fuori c’è un intero arcobaleno di esperienze tra cui le ragazze possono scegliere.

La mania delle principesse non è solo un fallimento del femminismo, ma un fallimento dell’intera società che non sa rispettare e valorizzare le sue giovani donne offrendogli qualcosa di più di una inconsistente e rosa fantasia da vissero sempre felici e contenti. Non c’è niente di male nel fantasticare un po’, ma per le bambine di tutto il mondo ci sono sogni migliori che voler solo essere carina come una principessa.