domenica 24 novembre 2013

Prime impressioni: Saving Grace

Non è corretto pescare episodi a caso di qualche serie tv, guardarli e sperare che piacciano. Però una buona serie tv, secondo me, è quella di cui vedi un episodio per caso e ti incuriosisce a tal punto da spingerti a sapere quello che è successo prima, quello che succederà, sbirciare tra le dinamiche.
Che tradotto in senso pratico vuol dire andare a cercarsi gli episodi precedenti o, se proprio ci pesa il culo, vedere la trama su Wikipedia.
Ho fatto così con Bones, Breaking Bad, Veronica Mars e Game of Thrones. E sappiamo tutti com'è finita con GoT, nonostante il primo episodio che abbia mai visto sia stato il terzo della seconda stagione.

Tutto questo per dire che ieri sera ho visto un episodio di Saving Grace e ho spento a 10 minuti dalla fine.
Non me ne vogliano i fan della serie, tra l'altro neanche così moderna, ma m'è sembrata piuttosto penosa.



Qualche informazione di base su Saving Grace:

serie poliziesca/drammatica.
Io amo le serie poliziesche tanto da essermi bevuta Law&Order in tutti i suoi ventordici spin off (Unità vittime speciali rimane comunque il mio preferito).

- 3 stagioni da 14/15 episodi l'una, serie del 2007 quindi, appunto, non molto recente.

- ambientato a Oklahoma City, ben lontani dalle solite New York o Los Angeles. Per dare una collocazione geografica più precisa: l'Oklahoma è schiacciato tra il Kansas (a nord) e il Texas (a sud), già la posizione dovrebbe dare un'idea vaga sulle politiche razziali e sulla mentalità della zona.
E da quello che ho visto nell'episodio il cast è variegato, il capo dipartimento è una donna di colore e hanno pure un'attrice down.

L'episodio che ho visto ieri doveva essere Sei il mio partner (You are my partner), 7° episodio della seconda stagione, ovvero la metà esatta di quella stagione.

La raccolta di commenti che segue è una serie di prime impressioni, quindi se mai un fan accanito capiti su questa pagina e abbia voglia di spiegarmi perché Saving Grace merita di essere guardata, lo faccia pure.



Prima dell'inizio, lo stacco pubblicitario che introduce l'episodio parla di Grace, una detective di Oklahoma City che vede e interagisce col suo angelo custode. Forse mi aspettavo un andamento più alla Ghost Whisperer, invece è tutt'altro genere.

L'episodio si apre con una specie di festicciola in un bar.
La donna bionda della sigla (Grace) è anche quella che serve da bere. I clienti sono annoiati, così lei e quelli che poi scopro essere altri colleghi, si mettono a ballare sul tavolo per ravvivare l'atmosfera: uno di questi si spoglia completamente, facendo infuriare Grace.

La scena dopo vede Grace e l'uomo nudo avvinghiati a letto intenti in preliminari selvaggi: lui si spoglia e la spoglia quasi completamente, mentre intanto cerca un preservativo. Proprio mentre lei è mezza nuda e lui è riuscito ad aprire il preservativo, Grace cerca a fatica di fermarlo e dice: "No!"
Lui la ignora e continua a limonarsela, finché lei, quando sta probabilmente per prenderlo per un orecchio, riesce a farlo calmare:
"No!" gli dice: "Cavalchiamo senza sella!"

Io, spettatore con conoscenza pressoché nulla delle dinamiche dei personaggi, intuisco che tra i due c'è la classica tensione sessuale tra partner di lavoro che aspetta solo di esplodere dal pilot addirittura, un po' come quella tra Brennan e Booth in Bones.
Quando Grace lo ferma e dice "Cavalchiamo senza sella" mentre lui sta armeggiando col preservativo io capisco: "Facciamolo senza preservativo": siamo a metà della stagione, un plot twist, per rimanere 7 episodi col fiato sospeso "Sono incinta?" o "Quella sera non è mai successo nulla, ma..."

Invece no.


Nella scena successiva vedo Grace e l'uomo andare nudi a cavallo tipo Lady Godiva.

Ne ho sentite di scuse per non fare sesso, ma questa le batte tutte.


La mattina dopo, mentre l'uomo si rotola nel letto in preda a chissà che incubo, Grace si intrattiene in cucina con un altro uomo sulla sessantina. Deve essere l'angelo custode, dato che lei gli chiede se gli angeli dormono e come fanno con le ali (ma che domanda è?).
L'angelo mi aiuta a far chiarezza sulla situazione: l'uomo a letto è il partner di Grace, Ham: il fratello di Ham è morto da poco e lui si trova in pieno conflitto emotivo tra il lutto e l'amore che prova per Grace.
"Ham è un uomo devoto, deve ritrovare la fede" dice l'angelo a Grace, prima di sparire.

La scena si sposta nel commissariato di polizia, dove arriva un caso fresco fresco: una ragazza messicana è morta in pronto soccorso per ferite da percosse. A portarla in pronto soccorso è stato un uomo grande e grosso che l'ha scaricata lì senza molti complimenti.
"Allora è stato lui!" sentenzia subito Grace, con l'acume tipico del detective che ha capito tutto dalla vita, ma riesce ancora a mettersi la scarpa sinistra al posto della destra la mattina.



Grace e il mentalmente-instabile-Ham rintracciano l'uomo, che lavora in un locale malfamato frequentato da skinhead. Ham prende l'uomo (chiamato "Spacca") e gli da un po' di legnate, tanto è ovvio che sia stato un crimine di sfondo razziale.

L'interrogatorio fa rabbrividire. Forse perché sono davvero abituata a Law&Order dove procedono con i piedi di piombo prima che il sospettato trovi un cavillo e lo usi contro di loro, ma là sono a New York, qui siamo a Oklahoma City, rompere un dito al sospettato e sputargli in faccia durante l'interrogatorio è prassi.

Grace parla col suo angelo custode. Grace parla con Ham.
La capa parla con Grace che parla con Ham.
Una schizzata (il medico legale) parla con Grace degli incubi di Ham e di una raccolta di beneficenza. Poi parla ancora di Ham.
Caciara in ufficio che pare il Cinco de Mayo, manca solo la pentolaccia e Raffaella Carrà in sottofondo.
Il medico legale chiede a Grace del suo angelo custode. "Ah, sì, comunque la ragazza morta è stata stuprata da ogni orifizio, ma non è stato lo skinhead" dice il medico legale prima di tornare a parlare di galline.



Finalmente si decidono a mandare a casa Ham, che prima di lasciare il commissariato decide di fare feng shui a modo suo spostando mobili a calci. Un attimo prima di andarsene, Ham ha un attacco di cuore.

Ah, giusto, la ragazza morta.
E' un'immigrata irregolare, stuprata da tutti i buchi possibili prima di essere picchiata a morte.
La sera prima aveva lavorato per un deputato che, ovviamente, stava promulgando la legge più razzista della storia dell'Oklahoma. Per fortuna uno dei detective è figlio di chissà che politica, quindi è facile per lui destreggiarsi nella palude di governatori e politici vari e chiede aiuto alla mamma.

No, no, fermi tutti, ci stiamo concentrando troppo sul caso e poco sui veri protagonisti: Ham e Grace.
Ham viene dimesso due minuti dopo aver messo piede in pronto soccorso, Grace lo accompagna a casa, segue un dialogo surreale di quasi 10 minuti e Ham che crolla esausto a letto.
Grace gli requisisce le tonnellate di armi da fuoco che l'uomo ha in casa (siamo pur sempre in Oklahoma) e torna a casa sua.



Toh, un interrogatorio. Mi ero quasi dimenticata che la serie fosse un poliziesco.
L'interrogatorio non porta nessuna novità, se non scoprire che la ragazza è andata via con uno in BMW. Ma dato che abbiamo speso 30 dei 50 minuti di episodio a guardare la faccia monoespressiva di Grace mentre parla dei massimi sistemi con Ham, il caso va risolto.
La madre del detective, quella che fa politica, gli porta una lista dei partecipanti alla festa e gli indica 3 persone che avrebbero potuto picchiare a morte una donna e tornarsene a casa come se nulla fosse. Segue siparietto WOMEN POWER ANTIRAZZISMO tra il capo commissariato (nera) e la madre del detective (che probabilmente ha la scritta WASP sulla chiappa destra).

Ham molla un pugno all'angelo custode di Grace.
Grace parla col suo angelo custode.
Grace scopre che il suo cane ha la diarrea (Il dialogo tra Grace e l'angelo sulla consistenza delle feci del cane dura di più dell'interrogatorio alla zia della ragazza morta).
Ham fa visita a Grace e chiede perché gli ha requisito tutte le armi da fuoco: "No, ma non mi sarei mai suicidato!". Ham dice che l'attacco di panico che ha avuto era da finocchi e comunque in 40 minuti di episodio ha somatizzato la morte del fratello.



Ham e Grace tornano in commissariato mentre portano nella sala degli interrogatori l'unico politico che la sera della festa guidava una BMW. Ovviamente il suo nome era nella lista dei bambini cattivi preparata dalla madre del detective. Grace gli fa il pippotto morale e gli sputa in faccia. Lui le sputa in faccia di risposta.
"Ora abbiamo il tuo dna!" ahah, geniale Grace, furba come un gatto di marmo, offrirgli un caffè e tenere il bicchierino era da finocchi mi sa.
Il caso è chiuso. Sommando gli spezzoni e le battute dedicate all'indagine arriviamo a 15 minuti scarsi su 50.

La scena torna poi nel bar di inizio episodio, dove il medico legale balla sul bancone vestita da gallina e imitandone il verso.


E qui ho spento.

Cosa ho apprezzato dell'episodio: l'ambientazione.
Sono effettivamente abituata agli scenari fighetti ed eleganti di New York o a quelli un po' più vivaci e imbottiti di coca di Los Angeles e Miami, una serie ambientata in Oklahoma è interessante. Non hanno i metodi snobbettoni, l'ambiente è più famigliare, meno complesso nelle sue dinamiche, meno "Ecco, avete fatto una cazzata, non vinceremo mai la causa".
Io ti spacco un dito, tu mi fai causa, e io te ne spacco un altro. Fare causa è da finocchi.

Diciamo che è una serie perfetta per chi cerca vicende in cui i personaggi sono ben caratterizzati e maturano durante gli episodi: in Law&Order manca tutta questa caratterizzazione dei personaggi che si limita solo al coinvolgimento personale di uno della squadra in un determinato caso piuttosto che un altro (il nero simpatizza con le vicende razziste, il detective con famiglia in quelle dove sono coinvolti bambini e via così).
Ma manca una vera e propria caratterizzazione del personaggio.

In Saving Grace le vicende poliziesche fanno da sfondo all'evoluzione dei personaggi.
Di sicuro mi servirebbe vedere almeno la prima serie per capire le dinamiche tra Grace e l'angelo custode e per capire meglio Grace stessa, per esempio se è normale che vada in un bar di skinhead urlando in spagnolo o cavalcare nuda di notte per non fare sesso.
Ma sinceramente non mi interessa.

Il cast è un meraviglioso mosaico di interculturalità e modernità a dimostrazione che anche in uno degli stati più conservatori degli Stati Uniti i neri non vengono bruciati vivi, gli indiani sono tollerati e le donne non vengono chiuse in cucina. Anzi, la capa del dipartimento (nera) ha pure frequentato la stessa università della politica WASP e probabilmente le due erano anche nella stessa sorellanza. E' una splendida immagine di cooperazione e tolleranza, ma non so quanto si avvicini alla situazione del moderno Oklahoma o, in generale, del mondo. Ma è una serie tv.
Come ho detto prima, c'è anche un'attrice down: bell'intento, peccato che non abbia un ruolo ben definito, se non quello di cazzeggiare in giro per il dipartimento.

Mi dispiace anche vedere Holly Hunter (Grace) in quelle condizioni. Va bene che sono passati più di 10 anni dall'oscar alla migliore attrice, ma ha perso moltissimo in espressività, almeno in questo episodio: espressione con cappello e senza cappello alla Clint Eastwood.
Photoshop agguerrito nelle locandine dove sembra un fresco fiorellino di 30 anni, quando nell'episodio dimostra anche piuttosto male i 49 anni che aveva quando l'aveva girato.


Tra le cose che però ho imparato è che in Oklahoma tendono a sputare in faccia alla gente, quindi attenzione viaggiatori.

martedì 29 ottobre 2013

Regine, principesse e sguattere del pop

Dopo essere riemersi dallo tsunami di polemiche che ha accompagnato l'ultima uscita di Robin Thicke ed essere rimasti a bocca aperta per l'ultimo, favoloso secondo me, lavoro dei Daft Punk ci sono stati altri fenomeni interessanti intorno a questa estate 2013 in ambito musicale.

Non voglio dilungarmi su una domanda come "Ma che cazzo ha fatto Pharrell in questi ultimi 10 anni?", ma che potrebbe essere un buon argomento di discussione, quindi ecco il fenomeno interessante di cui parlavo 3 righe fa: per quanto riguarda regine, principesse, contesse e sguattere del pop, l'estate 2013 è stato l'anno della rinascita.

Vado in ordine cronologico.



KATY PERRY - ROAR



In questi ultimi due giorni l'ho sentita in radio almeno quattro volte e devo dire che è ancora un ottimo risultato, visto che il singolo è uscito il 12 agosto. Per questo motivo vince il titolo di "Tormentone di fine estate" nella mia personale classifica (quello di inizio estate è Get Lucky, Daft Punk. Lo segnalo per completezza).

Roar è una specie di punto panoramico tipo terrazza di Basilea o sovrappasso della stazione Milano Certosa nel percorso musicale di Katy Perry. Ci sta dicendo che sta cambiando, come affronta il cambiamento e cosa potremmo aspettarci dal suo nuovo album (Prism, uscito tipo settimana scorsa). Fino a questo momento Katy aveva trito e ritrito i prodotti già sentiti in Teenage Dream, l'ultimo singolo era il surreale Wide Awake (maggio 2012). Roar è stato promosso con campagna promozionale all'insegna di Twitter, tra gli altri mezzi (con tanto di immancabile #Roar), e un video-lyrics basato tutto su uno scambio alla Whatsapp con le icone al posto delle parole che fa tanto ritardati.

Katy Perry era abituata a stupire con parrucche colorate (California Gurls), travestimenti divertenti (Last Friday Night) o apparecchiature strambe alla Lady Gaga (il reggiseno-spara botti di Firework). In Roar la prima novità è già il fatto che lei abbia un look naturale, ovvero senza parrucche, vestita in modo piuttosto sobrio rispetto a video precedenti. L'unica pecca è quel triplo strato di fondotinta, se le facessero i primi piani alla Sergio Leone riusciremmo a leggere Maybelline in fronte, ma è comunque un look più naturale rispetto a lavori precedenti. 
A occhi inesperti sembra che abbia in faccia solo "Un po' di colore e del nero sugli occhi" [cit.]




Sul testo niente da sottolineare, un altro brano che punta alla rinascita personale, alla rivalsa su chi ci ha sempre buttato giù e sul fatto che abbiamo la forza per rialzarci e tante altre belle cose che potremmo trovare solo in altri testi di Katy Perry o nelle canzoni dell'oratorio. Anche gli spezzoni divertenti rientrano nel classico. 
Esperienza personale? Senza dubbio, il divorzio da Russel Brand è ancora un argomento scottante, ma certo che se vai a sposarti un tizio come Brand non puoi aspettarti di prendere il the alle cinque e passare le domeniche pomeriggio sul divano a vedere Quo Vadis?

Il travestimento da regina della giungla è fenomenale e ha contribuito ad aumentare le visualizzazione su Vevo, vuoi per le ragazze che rimangono meravigliate dal suo fisico, vuoi per i ragazzi "Sono qui solo per vederle le tette" (che meritano davvero, tra l'altro).

Roar è spiritosa, colorata, un inno che può essere perfetto sia per una squadra amatoriale di pallavolo, facile anche da ricordare con animali buffi come la scimmia cappuccino tipo Barbossa dei Pirati dei Caraibi.

Katy Perry è stata un'araba fenice in questo 2013? Assolutamente sì.



LADY GAGA - APPLAUSE



Dall'uscita di Marry the night (novembre 2011) a questo Applause (12 agosto 2013, ancora), Lady Gaga ne ha passate di tutti i colori: tour annullati, operazioni all'anca, album rimandato, ruolo nell'ultimo film di Robert Rodriguez, rischio di finire nel dimenticatoio se non fosse stato per qualche coup de théâtre.

Premessa: non amo particolarmente il suo genere, però è brava in quello che fa. Decisamente brava.

Molti la davano già per spacciata e vedevano la partecipazione in Machete Kills come una via di fuga alla Justin Timberlake. La mia carriera musicale è finita, faccio quello che hanno fatto altri prima di me: mi do al cinema (o viceversa).

Ed è qui che arriva Applause, primo singolo del terzo album (ARTPOP, esce a novembre).
A differenza di Roar deve essere ascoltato almeno un paio di volte prima di essere davvero apprezzato, anzi, la prima volta che si ascolta non è neanche così bello.

Anche come testi siamo sulla riva opposta rispetto a Roar: Lady Gaga ha sì molto di autobiografico, ma non è l'autobiografico per il sociale di Katy Perry. Applause è una dichiarazione d'amore verso l'attenzione, il successo e verso i suoi fan, condita da tutti quegli elementi visivi che rendono unici i video di Lady Gaga. Non è un testo in cui puoi rispecchiarti, non ti infonde fiducia o forza

E poi bisogna ammetterlo: quel video è un'esperienza mistica.
Già dopo averlo visto una volta si capisce che è più vicino a un lavoro come Bad Romance o Alejandro piuttosto che Judas. Non che mi dispiaccia, sia chiaro, ma in Judas c'era pur sempre Norman Reedus.

Inoltre è uno dei pochissimi video che rispetta il brano e non aggiunge scene extra, un video di 3 minuti e mezzo per una canzone di 3 minuti e mezzo, non ci troviamo davanti a un'epopea come Telephone (9 minuti) o un brano diluito come Born this Way. E' significativo questo dato, perché vuol dire che il brano è perfetto così, senza fronzoli visivi.




E di fronzoli ne ha: citazioni di Botticelli, Pierrot, Janet Jackson (il reggiseno a forma di mano), Marilyn Monroe. C'è anche molta, molta autobiografia: Gaga mora che balla (gli esordi) o che sfila sollevando la gamba di un manichino (l'operazione all'anca). E qui, ancora come Katy Perry, si mostra molto più al naturale del solito e per "naturale" intendo davvero senza trucco. 

Lady Gaga è stata un'araba fenice in questo 2013? Ovvio.
Pochi giorni dopo l'uscita del video, Youtube è stato sommerso di parodie e prese in giro. E se c'è una parodia vuol dire che il prodotto ha avuto successo.



MILEY CYRUS - WRECKING BALL




Mh. 
Cominciamo da una domanda semplice: avete mai sentito (o anche solo sentito parlare) di Who owns my heart? Ricordatevi la risposta un momento.

Sono passati pochi giorni dal tornado degli MTV Video Music Awards, quando Miley Cyrus ha duettato con Robin Thicke strusciandogli il sedere sul pacco e mimando amplessi con un guanto di gomma.
L'atmosfera si era già surriscaldata con l'uscita di We can't stop (giugno 2013) che aveva bloccato in gola una serie di mugugni e proteste, tipo salatino del Despar che si pianta nell'esofago: i VMA sono stati il colpo di tosse secco che libera del suddetto salatino.

Nella tempesta mediatica che si è creata e che ha continuato a imperversare per il mese successivo era il momento perfetto per lanciare il nuovo singolo e promuovere il nuovo album Bangerz (uscito a inizio mese).

Io personalmente come discografia post Hannah Montana mi ero fermata a Can't be tamed, tipico inno adolescenziale con tanto di testo ribelle e ali nere nel video, e quell'inno da festicciola nel campo scout cattolico che era Party in the U.S.A.

Torniamo alla domanda di sopra: Who owns my heart.
Mai sentito?
Se la risposta è no allora è chiaro tutta l'evoluzione di Miley da We can't stop a ora. Who owns my heart (ottobre 2010) è stato il primo vero tentativo di togliersi l'etichetta Disney di dosso. Il fatto che nessuno ne abbia parlato come ne stiamo parlando ora dimostra solo che Miley non aveva osato abbastanza: l'atteggiamento da gatta in calore, le gambe nude, la discoteca affollata dove si strusciava con altre ragazze... non è stato abbastanza.
Vedevamo ancora Hannah Montana che "affronta una fase".
Poi c'è stato We can't stop, un testo spensierato accompagnato da un video ribelle, mentre Miley sculacciava le ballerine o mostrava il sedere fasciato nei leggins bianchi era come se dicesse: "Ora capite che NON è una fase?"

Ed eccoci a Wrecking Ball.
Comincio dalla parte più semplice: il testo. Molto, molto autobiografico, è stata appena mollata dal fratello di Thor (aka uno degli angoli del ménage à trois di Hunger Games) e Miley c'è rimasta davvero di merda. 

Anche io ci rimarrei di merda a essere piantata da Liam Hemsworth, sinceramente. 
Ma io con le rime non vado al di là di tradita-margherita o dolore-malore.
Il testo di Wrecking Ball è bello, è anni luce avanti alle lamentele quotidiane di una diciannovenne, è più profondo di quello che ci aspetteremmo da una che chiama "twerk" un semplice sculettare piegata a 90.



Poi è arrivato il video. Miley stava cavalcando l'onda dell'artista trasgressiva e non poteva deludere: il twerk non era più l'asso nella manica, basta cambiare i riferimenti sessuali, lasciare comunque un abbigliamento minimo per non distrarre, et voila.
Leccare un martello, ballare nuda su una palla da demolizione, limonarsi una catena e piccoli accorgimenti tipo mostrare il buco del culo quando il testo dice I just wanted you to let me in.
Non te lo volevo dire, Miley, ma è tardi ora proporre l'anal per salvare il rapporto. Ciò non toglie che non basta mettere un nome famoso per rendere una minchiata pazzesca "arte".

L'effetto inquietante dei primissimi piani a inizio video è dovuto anche all'uso delle circle lenses (http://en.wikipedia.org/wiki/Circle_contact_lens), come mi è stato indicato da un'esperta in materia che si ha fatto un salto dopo aver visto questa scena alle 7.10 di sabato mattina.

Miley Cyrus è un'araba fenice in questo 2013? Ni.
Lo è perché i testi sono più maturi, più belli e più godibili di quelli puramente adolescenziali in Can't be tamed. Bangerz è un bell'album.
Non lo è perché 3/4 della popolazione mondiale, visto che a un certo punto la copertura di notizie su Miley Cyrus era totale, sembra la classica mignottina spuntata dal nulla quest'anno. E pochi perderanno tempo ad ascoltare un'altra delle sue canzoni, figuriamoci un album intero.


BRITNEY SPEARS - WORK B**CH!



E' dai tempi dell'intro di Gimme more che Britney se la prende con una fantomatica "Bitch": prima le dice di stare attenta, ora le da consigli su come avere successo nella vita dall'alto di un video che alterna coreografie in mezzo al deserto, scene di sadomaso soft e macchine da corsa.

Britney è tornata, ma è tornata davvero.
Non come con Scream & Shout  che ci ha fracassato le palle lo scorso inverno, dove ogni tanto spuntava un It's Britney, bitch!, ma veniva sommerso dalla musica a palla che poteva concepire solo uno che aveva scritto l'odiosa My hump.
E non conto neppure Oh la la, un brano per la colonna sonora dei Puffi. Cioè, Britney Spears e i Puffi.

Il testo non è nulla di che, piuttosto semplice. Dalla Britney adolescente che si lamentava della pressione del mondo che la circondava in pezzi come I'm not a girl... not yet a woman o alle prese con i classici problemi da quattordicenni di Oops I did it again! ora abbiamo una Britney mamma-chioccia che ci dice senza mezzi termini: vuoi una bella casa? Una macchina costosa? Allora lavora, stronza.

La cover del singolo fa abbastanza pena: è photoshoppata talmente male che Britney, con un boa di struzzo azzurro, sembra un transessuale con le tette rifatte malissimo che si è appena sparata una striscia E una pera nel bagno pubblico di Molino Dorino.

Il video no, nel video torna la Principessa del Pop biondissima e sensuale. La coreografia è piuttosto semplice, ben lontana dai fasti di Overprotected, ma stava già abituandoci a video senza grandi danze e magheggi vari (vedi I wanna go del 2011). Ormai da un paio d'anni a questa parte la regina della coreografia è Lady Gaga, non ci piove. Ottimi trucchi comunque, tra scelta dei costumi, degli ambienti, delle ballerine cesse da mettersi accanto nei primi piani.

Nel settembre 2013, Britney Spears sforna, a mio avviso, una delle migliori canzoni motivazionali dell'anno. Ascoltiamo Katy Perry quando abbiamo bisogno di una spinta sul piano personale, ascoltiamo Work B**ch! in palestra (cioè, ascoltate), durante gli esercizi di aerobica (ancora decisamente ascoltate) o fuori a correre ("ascoltiamo" iniziale non era decisamente un plurale maiestatis, per quanto mi riguarda era plurale poltronis).



E va bene, la scena di Britney che tiene al guinzaglio alcune ballerine vestite da gatte ricorda molto Beyoncé in Who run the world? con due iene.
Non l'ha copiato. O forse sì, ma non per carenza di idee, per un riferimento, per prenderla in giro, perché avanzavano guinzagli, che ne so. Alla fine non sono nella testa di Britney per dare una ragione valida a questa scelta, ma posso spiegare perché le accuse di plagio (per una singola scena poi) è una gran vaccata: ha fatto tutto un video con elementi di sadomaso. Collare e guinzaglio sono perfettamente adatti al contesto, Beyoncé non ha la proprietà intellettuale del gesto con tanto di brevetto e se proprio vogliamo essere puntigliosi Beyoncé stessa in quella scena ha le scarpe di Lady Gaga in Bad Romance.

Anzi, per completare il discorso dico che Work Bi**ch!  e Who run the world? hanno lo stesso tema, ovvero spronare le donne a fare (e non dare) del loro meglio. Ovviamente il messaggio viene presentato in modo diverso, ma quello è: se lavori duramente (Now get to work, bitch!) potrai un giorno arrivare in alto (Who run the world? Girls!). Diciamo che tra i due messaggi preferisco quello diretto di Britney a quello romantico-ma-spacco-i-culi di Beyoncé, ma i tempi di Bootylicious e delle Destiny's Child sono passati e Beyoncé ora ha altri standard da rispettare.

Intanto Work Bi**ch! ha scalzato Wrecking ball dalla testa delle classifiche statunitensi due ore dopo la pubblicazione.

Britney Spears è un'araba fenice in questo 2013? Minchia se lo è.

[Bonus]

RIHANNA - POUR IT UP
(video, il singolo è uscito a gennaio)



Rihanna adora i culi.


Ma almeno ha capito cos'è il twerk.

martedì 22 ottobre 2013

E anche oggi un articolo interessante

Leggo spesso Vice (http://www.vice.com/it)
Ha qualche inchiesta interessante, peccato che il resto degli articoli non ho ancora capito se rientrano nella fascia "Ci sei o ci fai?" o "Non so cosa scrivere oggi".

Il bello di Vice è che ha una ventina di edizioni in altre lingue. Le inchieste più corpose vengono dall'edizione madre statunitense (qualche volta anche dal Regno Unito e dal Canada), ogni edizione nazionale ha i suoi ehm... "giornalisti" locali che fanno il loro dovere.

Una mia ex compagna di classe nata ad Ankara e trapiantata a Rotterdam mi ha passato questo articolo, preso dall'edizione olandese di Vice: "Ho chiesto a quattro persone perché odiano i bambini" (http://www.vice.com/nl/read/ik-vroeg-vier-kinderhaters-waarom-ze-kinderen-haten).

Ricordo che avevamo parlato di questo quando ero ancora a Leiden: io, lei e la ragazza brasiliana eravamo le uniche tre a non scoppiare di gioia quando vedevamo un pargolo altrui, ma mentre Paòla (la brasiliana) i bambini proprio non li poteva vedere, sia io che Duygu eravamo dell'opinione: "A me piacciono i bambini, non piacciono le bertucce maleducate".

Comunque anche nella "civilissima Olanda", come la definisce mia madre, dire che non ti piacciono i bambini non è ben visto almeno, soprattutto se sei una ragazza, vieni guardata male. Come se dicessi: "Sì, cioè, comunque nelle notti di luna piena sgozzo gattini".

Perché ricordiamolo: se parli male di animali, bambini e omosessuali sei un mostro.

Tornando all'articolo, nel Regno Unito cominciano ad affermarsi molte associazioni di coppie childfree, ovvero quelli che non vogliono figli, ma nel resto d'Europa non è ancora un'opinione ben vista. Di solito non se ne parla molto e quando se ne parla, se ne parla male. E' un argomento piuttosto delicato, non ci si può permettere un attacco a spada tratta contro la categoria che sostiene i bambini, per questo i pochi tentativi a cui ho assistito finora (tra cui un paio di articoli piuttosto feroci sul blog la 27ma ora del Corriere della Sera) hanno scatenato solo polemiche allucinati, non una discussione che porta a dire: "Ah, vero, effettivamente anche il tuo punto di vista ha delle basi solide, anche se non condivido".


Sander Roks, l'autore di questo articolo, si crea un'occasione per scrivere un pezzo che spinga alla riflessione e fa un disastro dall'inizio alla fine.
Anche se la genesi dell'articolo credo sia stata più o meno la seguente: Sander si alza, vorrebbe passare la giornata in mutande a racimolare figa su Badoo e mangiare cereali, ma, cazzo, ha una consegna. Magari però le lettrici di Vice sono meno psicolabili di quelle che si spacciano per Adriana Lima su Badoo, quasi quasi si può arrivare a un compromesso.

Andiamo con ordine.
Sander attacca dicendo che "Mi piacerebbe avere sei figli. All'inizio sarebbero difficili da gestire, ma quando inizieranno a giocare tra loro saranno più tranquilli e si cureranno a vicenda".

Sospiro profondo.




Con questa premessa non capisco se Sander è figlio unico o se è semplicemente deficiente.
Chiunque abbia avuto un fratello/sorella o conosca degli amici che ne abbiano sa che i fratelli giocano pacificamente in media 5 minuti al mese. Per il resto sono risse, urla, appelli alla mamma e pianti. Bastava dire "Questo è mio" o "Voglio cambiare gioco" per scatenare una potenziale zuffa tra me e mia sorella,  tra sei bambini non oso immaginare.
Figuriamoci poi sei bambini che si curano da soli. Conosco fratelli maggiori che si sono dovuti accollare tutta la responsabilità dei 3-4 minori durante infanzia e adolescenza e non sono esattamente felici.

Nel suo mondo idilliaco fatto di bambini che strillano solo appena dopo il parto, Sander si stupisce del fatto che, santiddio, esiste gente che odia i bambini. Come può? Insomma, i bambini sono un dono, sono la cosa più bella del mondo, sono la vita! Come si può odiarli?

Così approda su Twitter e chiama a raccolta gli haters.
Hanno risposto in moltissimi, dice Sander che ci stupisce ancora selezionando 4 personaggi che neanche fuori da un manicomio poteva andare a trovare.

Sarah ha 23 anni.
Dice subito che secondo lei i bambini sono "Pasticcioni, sporchi, casinisti e una merda totale". Non contenta rincara la dose: sostiene che ogni volta che ne sente uno parlare pensa "Muori" e che se bevono un succo di frutta particolare "puzzano da fare schifo".

Mi sorge un dubbio: Sarah ha capito bovini al posto di bambini?
Quando racconta di essere stata importunata da una bambina che voleva a tutti i costi accarezzare la cover del suo telefono a forma di orsacchiotto sul treno, dubito molti riescano a compatirla. Alla quinta visita della bambina, Sarah ha urlato "Lasciami stare, cazzo!" (come avrebbe fatto chiunque) e solo allora la madre se l'è presa perché "Non si parla così a un bambino".

La reazione di Sarah è legittima.
Peccato che prima per 10 righe sia passata come una psicopatica che sparerebbe a vista ai bambini e non è facile ora provare compassione, specie se chi legge fa parte della maggioranza "I bambini sono la cosa migliore del mondo".

Sander poi chiude l'intervista con Sarah dicendo "Se lo scopo della vita è davvero riprodursi, non ti sentiresti in colpa?".
Sarah gli risponde che sostanzialmente non gliene frega un cazzo.


Il secondo intervistato è Tim, 26 anni.
Dice che la prima cosa che pensa quando vede un bambino è "Stammi lontano, cazzo". A parte questo, Tim sembra il più equilibrato dei 4: ha parlato con amici che vogliono figli, non condivide le loro ragioni, ma li lascia fare. Si lamenta dei bambini che fanno casino al cinema.

Sander allora cerca di farlo tentennare con domande cretine: "Andresti a vedere il figlio neonato di un tuo amico in ospedale?" e "Passeresti una serata con il bambino?"

Certo, no? Io odio i ragni, ma se mi regalassero una teca di tarantole sarei entusiasta di tenerla accanto al letto. Sarei entusiasta solo se fosse Scarlett Johansson (aka Vedova Nera in Avengers e Iron Man 2)


Tim dice che andrebbe a trovarlo per gentilezza, ma i suoi amici lo conoscono e non gli chiederebbero mai di tenere il figlio. Sander, deluso, chiude subito l'intervista, la più breve tra le 4.


Poi è il turno di Lilian, 25 anni. Inizia dicendo che dei bambini non sopporta "L'odore di merda, il casino e le domande". Quando ne vede uno pensa sempre "Vattene, ti odio". In vita sua non ha mai gioito alla vista di un pargolo.

Non vedete già le dita dei lettori puntate contro Lilian e pronte a scrivere un commento di fuoco in difesa degli "angioletti sulla terra?" Io sì e sembrano quei gruppi dei villaggi vacanze quando puntano il dito mentre ballano le strofe di YMCA dei Village People.

Anche qui, un po' fomentati dalla presentazione di Lilian e ancora furibondi per le uscite di Sarah, i lettori più amorevoli non riescono a simpatizzare con una che ha osato dire "I bambini puzzano di merda", neanche quando litiga con i genitori di un bambino urlante al supermercato o quando chiede a una cliente nel ristorante dove lavorava se poteva richiamare i figli impegnati a giocare a nascondino con le tende. No, neanche quando si scoccia del bambino che urla da Mc Donald's, anzi, fa proprio la figura della cagacazzo.

Sander percepisce che taglio dare al personaggio e la secca con la domanda: "E se l'amore della tua vita volesse dei figli?". Lei risponde prontamente che è riuscita a convincerlo del contrario: "Gli ho detto quante cose ci saremmo persi, non avremmo potuto fare un viaggio con un bambino"
Ah, povera scema. Che mette davanti lo svago alla meraviglia che un figlio ti può dare, che materialista.

Non contento, le rifila la stessa domanda di chiusura di Sarah: "Se lo scopo della vita è davvero riprodursi, non ti sentiresti in colpa?"
Lilian dice che tanto i cinesi ne fanno a bizzeffe di figli, quindi lei può tranquillamente evitare.

Ah, è pure razzista ora.
Dopo Sarah, ecco un altro personaggio psicotico con cui non è facile essere d'accordo.

L'articolo si conclude con Annemarie, 25 anni.
Annemarie sembra una persona ragionevole: da ragazza voleva dei figli, poi ha cambiato idea crescendo. Troppo ragionevole, infatti Sander la fa capitolare alla fine. Dopo aver chiesto "I bambini vengono sempre da te per raccontarti qualcosa?", Annemarie risponde e poi si butta in uno sproloquio senza senso tipico di chi non ha preso le medicine del TSO o s'è appena scolato 6 o 7 birre: "Perché devo mettere al mondo qualcuno che non me l'ha chiesto e stare al suo servizio per 18 anni?"

Peccato, Anne, stavi andando bene.

Sander è soddisfatto.
Torna nel suo mondo dei 6 bambini contento di aver gettato ulteriore merda sulla filosofia childfree sguinzagliando 3 personaggi le cui tesi potrebbero essere smontate anche da un rincoglionito. Sarah si dimostra aggressiva, soprattutto con quel "muori" e non si può intavolare una discussione con una persona del genere.
Nel tornado di furia, Tim non se lo caga nessuno.
Lilian parte aggressiva e poi viene presentata come un'egocentrica prepotente che sopporta solo sé stessa, neanche le opinioni del fidanzato.
Annemarie, col suo sproloquio, è quella che offre il miglior contro attacco:
- "Anche tu non hai chiesto di nascere, però eccoti qua e non mi sembra che ti stai lamentando" (reazione normale).
- "La vita è un dono, troiaaaaaaa!!1!!11!!!one!!1" (reazione comune).

Qui riesco a leggere distintamente: "Io, davvero non li capisco, ho cercato di capirli, però guardate! Quando pensano ai bambini pensano all'odore di merda, non al profumo di borotalco o alle loro risate innocenti! Sono davvero mostruosi!"



Sander, io non so se tu sei tra quelli che girano alle 6 di sera con gli abbaglianti in paese, con gli occhiali da sole quando piove, che reputano Pannella una persona intelligente o se sei davvero un genio appena mollato dalla fidanzata fuggita inorridita all'idea di dover sfornare 6 pargoli che scrive quanto gli piacciano i bambini per scatenare le lettrici con la fantasia dell'uomo perfetto. Nuovi contatti, chiusa una porta si apre un portone, da cosa nasce cosa e via.
In questo caso, consiglio spassionato: Badoo funziona meglio.

Spezzo una lancia a favore di Sander che ha sì scritto una marea di cazzate, ma almeno s'è sforzato di scrivere e persino fare un appello via Twitter, che è pur sempre da ritardo mentale, ma non come organizzare una galleria quotidiana di 20 immagini su Belen Rodriguez (luglio-agosto) o Miley Cyrus (settembre). Ed essere pure pagati.
Vero Corriere?

venerdì 11 ottobre 2013

E comunque, non so perché, ma mi dispiace

Poco meno di due ore fa ho pubblicato sulla mia bacheca di Facebook questa immagine:


Quindi sono tornata a perdere tempo su Game of Thrones Ascent, lamentando la pessima scelta della posizione per l'edificio dei Tyrell, con tutto lo spazio che c'era l'hanno messo tra quello di Lannister, Stark e Baratheon, creando un'accozzaglia di alberelli, casette e carrelli delle miniere indecente

Poi mi arriva un messaggio privato da parte di una ragazza che ho frequentato durante i miei 6 mesi a Leiden e di cui poi ho perso le tracce:

"Mi dispiace"

In questo lunedì pomeriggio uggioso, ci ho messo un po' a capire cosa volesse dire quel "Mi dispiace" buttato lì, in un messaggio privato da parte di una persona che ho visto per l'ultima volta a maggio 2012. Anzi, non ho proprio capito cosa volesse dire e le rispondo con un pragmatico:

"?"

Il mondo è pieno di svampiti.
Io faccio parte del gruppo ogni volta che ho 5 finestre di chat aperte e finisco per scrivere "ahahahahah" a chi mi ha appena detto "Ho litigato con mia mamma" e "Ouch, come mai?" a chi mi chiede "Ti va se ci vediamo settimana prossima?". Questo "Mi dispiace" credevo rientrasse nella categoria, fino a quando la ragazza in questione mi risponde:

"Per la diagnosi"

La situazione si fa ancora più contorta.
Per rendere il discorso più chiaro chiamerò la ragazza in questione Cristina, così evito lunghi giri di parole e di usare il suo vero nome, nel caso remoto capitasse qui e fosse una di quelle persone che si gonfiano come tacchini quando devono assumersi la responsabilità di quello che hanno detto.
Sta di fatto che
a) O Cristina sa qualcosa sulla mia anamnesi che non so.
b) O non si è ancora accorta di scrivere su una conversazione sbagliata, passando però dal livello "Svampito" al livello "Rincoglionito di grado 1".

"Scusa, continuo a non capire"

Cristina legge, prende tempo. Poi dice:

"Ho visto l'immagine sulle mental illness. Cioè hai avuto coraggio a dire a tutti così della tua malattia :)"

"Ma quale malattia?"

"Quella mentale che ti hanno diagnosticato"


"...ma non ho nessuna malattia mentale"

"E allora perché pubblichi quell'immagine?"

Ho frequentato Cristina per un annetto in Erasmus, poi siamo tornate in Italia, dove io sono tuttora, mentre lei ora vive in un altro paese. Eravamo buone amiche, non abbastanza in confidenza, ma di quelle con cui esci volentieri a parlare di quello che passa per la testa. Questo nostro vecchio legame l'ha spinta a scrivermi, dopo mesi di silenzio: "Ho visto che hai pubblicato qualcosa a favore delle malattie mentali, di conseguenza ti hanno diagnosticato una malattia mentale e mi dispiace".

Spiego poi a Cristina che il mio post non è stato un ammissione pubblica della mia malattia, ma semplicemente un pensiero che ho sempre condiviso dopo aver visto per anni persone che si rifiutavano di ammettere di andare dallo psicologo perché "non voglio passare per pazzo". Abbiamo parlato un po', non so se l'ho convinta, ma almeno ci ho provato.
E ora mi chiedo quanti abbiano fatto il suo stesso ragionamento.

Il messaggio di Cristina mi allarma sotto due punti di vista: il primo è che conferma quanto poco si sa, e quanto poco si vuole sapere, sulle malattie mentali. Il secondo è quell'idea a mio avviso agghiacciante del "Se la questione non ti tocca, perché deve fregartene qualcosa?"


Tutto il blocco classificato come "disturbi mentali" è ancora un enorme tabù, un po' come le malattie veneree,  la prima cosa che viene in mente pensando alle malattie mentali di solito è la pazzia. Nel senso: sei malato di mente = sei pazzo, cosa ci fai in giro? Mannaggia a Basaglia e Orsini che hanno fatto chiudere i manicomi nel 78!
L'ambito di studi è molto recente rispetto a tante altre scienze, forse è anche a questo che va attribuita la confusione in merito. E forse anche all'immaginario popolare che vede gli ex ospedali psichiatrici popolanti interamente da personaggi via di mezzo tra i protagonisti di Qualcuno volò sul nido del cuculo e quelli del  video di The real Slim Shady di Eminem. Un fondo di verità li hanno.

Ma l'errore generale è rilegarle, appunto, a malattie di serie B.
L'errore generale è dire a una persona giù di morale: "Non devi essere triste, c'è gente che sta peggio di te!"
Che è un discorso del cazzo, perché allora quando qualcuno è felice bisognerebbe dirgli: "Non devi essere felice, c'è gente che sta meglio di te!"

Ci sono persone che senza prendere regolarmente lo Xanax (o Alprazolam, contro i disturbi di panico e di ansia) non fanno un discorso sensato, devono prendere lo Xanax come un diabetico deve prendere l'insulina. Prova a dire "Eh, aspetta che prendo lo Xanax" e qualcuno ti potrebbe guardare come un serial killer pronto a colpire.
Le malattie fisiche sono più tangibili e comprensibili, se ti rompi una gamba vai all'ospedale e ti metti il gesso. Se ti salta una sinapsi, eh, non ci metti il gesso.

Anziché fingere che non esistano sono questioni che andrebbero affrontate e meriterebbero di essere affrontate, ma non solo dopo che il soggetto ha ammazzato qualcuno o ha tentato di suicidarsi, perché lì ormai è tardi. Tardi come andare da un paziente affetto da diabete che non si è curato adeguatamente dicendo: "Mi dispiace, ma ti dobbiamo amputare un piede! E' tardi per le cure ormai".
La differenza forse sta nel fatto che nel primo caso il malato poteva far del male agli altri (quindi a me, volendo), nel secondo invece per gli altri non ci sono problemi.


Non ci giro intorno ulteriormente, penso che gli italiani siano un popolo estremamente individualista, la famiglia è il massimo di collettività che si può trovare e, badate, non è una critica: è un dato di fatto. 
Siamo peggio degli olandesi quando si tratta di mantenere e far funzionare i trasporti pubblici ("Se non è mio, è di tutti" contro un nostrano "Se non è mio, non è di nessuno"), però siamo meglio degli olandesi quando dobbiamo tenere in ordine la casa. Alcune case nordeuropee sembrano appena colpite dall'uragano "Non pulisco da 2 settimane", spesso è così.
I nostri diritti sono più che sacri, i nostri doveri, sì, nel senso, un po' anche quelli.

Questo mi porta al secondo punto emerso dalla conversazione con Cristina: "Se la questione non ti tocca, perché deve fregartene qualcosa?"

Dicasi "sensibilizzazione".

If you don't stand for something, you will fall for everything, everybody's got a voice, now stand up and make some noise cantava Alice Cooper in Stand.
Un pensiero talmente logico ed elementare che prima di Alice una frase simile sarà stata incorporata in minimo 200 discorsi. 
Io credo davvero che trattare i disturbi mentali come "malattie di serie B" sia un grosso problema, sotto più punti di vista: causa disinformazione generale, confonde le idee, non permette un trattamento adeguato nei confronti di chi ne è affetto. Quell'immagine là sopra è una delle poche che ho mai incrociato relative all'argomento.

Dire "Mi sorprende che parli di questo argomento se non ti tocca direttamente" è come dire "Mi sorprende tu sia contro l'abbandono degli animali se non possiedi un animale" o "Mi sorprende che tu sia a favore del matrimonio tra omosessuali anche se non sei gay". 
Non ha assolutamente senso, è l'espressione di un pensiero più individualista dei gabbiani che ripetono "Mio?Mio?Mio?Mio?" in Alla ricerca di Nemo.

Che poi, alla fine, se mi va di pubblicare una cosa non capisco perché devo spiegarne il motivo come nelle verifiche di filosofia del liceo "Scegli la risposta e motivala".

E comunque l'edificio dei Tyrell potevano metterlo da un'altra parte.

domenica 29 settembre 2013

Quando riusciamo a farcela

Neanche un mese dopo dalla mia quasi infinita trasferta di 9 ore all'aeroporto di Copenhagen ero già di nuovo in un altro aeroporto. A Orio, questa volta, e non più da sola, ma con l'unica amica con cui ho condiviso alcuni dei viaggi estivi più assurdi per ben due anni di seguito: dopo Budapest e Goteborg e una pausa di due anni dovuta ad altri motivi, eccoci di nuovo in partenza, destinazione: Regno Unito.

Non avevamo un piano ben definito, solo una serie di città in cui avevamo prenotato l'ostello e da cui, quindi, saremmo dovute per forza passare. L'aereo atterrava a Manchester e la notte dovevamo passarla a Nottingham.

Le lunghe attese in aeroporto favoriscono la riflessione personale e la valutazione dei futuri compagni di viaggio. Dopo aver arrancato col bagaglio a mano lungo la scala mobile bloccata, ma per fortuna in discesa, e aver esibito con orgoglio la mia carta d'identità con una foto degna di una comparsa in Sorry for party rocking dei LMFAO, eccoci nella sala d'attesa.

Mezz'ora di ritardo, gratis.
Mi accorgo di aver preso i pantaloni troppo stretti che mi stanno facendo un secondo punto vita, mentre Ambra cerca di capire se i dolori generali erano dovuti alla mancanza di sonno, a un'imminente influenza o all'episodio mensile di "Congratulazioni, non sei incinta!"

Poco prima di sederci ci sfreccia davanti un tizio in camicia e chioma fluente.
"A momenti mi investiva" dico, meditando di porre fine alla sofferenza slacciandomi i jeans.
"Vabbé, ma dove va conciato così?"
"Magari ha dimenticato qualcosa"
"Parlo dei capelli sporchi e dei baffi. Dai, i baffi?! Non vanno più da anni, ma neanche Miami Vice".

Solo Tom Selleck se li poteva permettere.
Non sto neanche a considerare Cleveland Brow di The Cleveland Show, dopo aver visto la puntata dove hanno tradotto in italiano I got a feeling dei Black Eyed Peas, quel programma andrebbe rilegato alla peggio fascia notturna dell'ormai scomparso Antenna 3.

Miami Vice continua a sfrecciare su e giù per la hall dell'aeroporto.
Ruba la scena a ogni altro personaggio presente, dalla bambina che raccoglie gli scontrini per mangiarli agli inglesi over 60 che fanno battutine e ridono da soli. E' lì con un amico senza baffi, si sistema la camicia, scuote la testa e non capisco se è tutta una manovra per attirare l'attenzione o è davvero molto sbadato e continua a dimenticarsi roba in giro, costringendolo a corse sulla falsa riga di Pochaontas nei boschi quando canta "Che ne sai tu della lince, che ne sai?".
Sfortunatamente, la saga di Miami Vice finisce presto: si imbarca su un altro volo. Piantona il gate con fare superiore difendendo il suo posto.

A proposito di gate, intorno al nostro inizia ad ammassarsi una piccola folla.
"Penso stia per aprire" dico ad Ambra, ci alziamo e ci avviciniamo.
Dopo qualche minuto mi rendo conto di essere stata vittima della "Legge del branco", una legge non scritta che però spinge i membri annoiati (o persi) di un tale gruppo a fare quello che fanno i membri più dinamici. Ai gate degli aeroporti succede spesso, basta che due si avvicinino al bancone per attirare l'attenzione: se altre persone si alzano e si avvicinano per un qualsivoglia motivo, nel giro di pochi minuti tutti sono in piedi in fila davanti al bancone senza capire perché.
Come se vedere una massa di gente con la valigia spingesse la hostess a iniziare le operazioni d'imbarco in anticipo per liberarsi di quegli sconosciuti che la fissano con aria interrogativa.

Sono questi i momenti in cui capisci che forse era meglio starsene seduti con calma e leggere i tweet deliranti di Amanda Bynes.



Il volo per Manchester dura 2 ore e mezzo e Ryanair ha messo a disposizione sulla tratta uno degli aerei più stretti mai concepiti nella storia dell'aeronautica civile, tanto che persino io, dall'alto del mio 1.60, quasi non riuscivo a starci con i piedi.

Sull'aereo abbiamo fatto conoscenza con un'altro personaggio che ci ha anticipato una caratteristica peculiare degli inglesi: sono sordi.
Che siano auricolari o cuffie, devono renderti partecipe di quello che stanno ascoltando, così ovunque tu sia, in treno, in stazione, per strada, al bar, ti ritrovi accanto una specie di Disco Stu che ha a cuore i tuoi interessi musicali.
Cosa sta ascoltando, non la conosci? Prendi qualche parola e se poi ti piace, butta quello che hai capito su Google.
Il ragazzo sull'aereo a un certo punto ha messo un brano talmente ossessivo, ripetitivo e fracassa timpani che a confronto l'ultimo minuto di Sexy Bitch di David Guetta è persino bello. La versione dell'album, non quella del video dove Guetta si aggira tra una selva di modelle in bikini a fare il pappone.

L'atterraggio a Manchester è stato degno di Lost, dopo aver ripreso colore e calma ci siamo avviate verso il controllo passaporti, che è davvero molto diverso dal controllo passaporti di Malpensa o Orio.
Fila tipo Gardaland, carta d'identità o passaporto alla mano, prima di iniziare a trascrivere i dati l'addetto controlla che la persona nella foto corrisponde a quella che presenta il documento e poi vai.
A Orio apri la carta d'identità e la fai vedere all'addetto senza neanche fermarti come Gardaland sì, ma con un piglio alla: "Scusi, scappo che altrimenti perdo il gommone del Colorado Boat".




A Manchester c'è stato solo il tempo per mangiare e accorgersi che gli inglesi non dimenticano, come gli Stark.
Dopo gli attentati del 2005 a Londra, ma in generale in tutto il Regno Unito, la soglia di attenzione nei luoghi pubblici è piuttosto elevata. Per esempio solo correre con uno zainetto sulle spalle attira l'attenzione di almeno una decina di poliziotti che ti seguono con sguardo torvo (non ho provato di persona, ma Ambra sì, a Buckingham Palace durante il cambio della guardia, un esperimento in grande stile).

Manchester è considerata un possible obiettivo, per scongiurare gli attentati terroristici la stazione ferroviaria è priva di bidoni della spazzatura. E per "priva" intendo che se devi buttare qualcosa in stazione o fermi l'addetto delle pulizie o tieni la spazzatura in tasca. Ho provato a uscire e cercare un cestino, ma sono stata investita da una tempesta subtropicale e sono rientrata immediatamente.


Quando si viaggia in treno c'è un'altra differenza fondamentale, almeno tra Italia e Regno Unito. Qualsiasi cosa si muova sui binari in Italia e ha la funzione di trasporto passeggeri è Trenitalia o Italo, in qualche caso sporadico. Le compagnie ferroviarie britanniche sono moltissime (e un po' te l'aspetti anche dal paese che ha inventato la ferrovia), ma alcune hanno una tratta ben definita.
Prendiamo la CrossCountry (http://www.crosscountrytrains.co.uk/) che opera prevalentemente nelle Midlands. Per arrivare da Manchester a Nottingham obbliga a passare da Birmingham, che è un po' come fare Milano-Torino passando da Genova.

Informarsi prima delle compagnie ferroviarie è troppo intelligente, quindi ci siamo affidate al caso e, per fortuna, c'era un treno diretto tra le due città, quasi 2 ore di viaggio.



Il paesaggio delle Midlands Orientali non è molto diverso dalla zona del Monferrato, colline basse, pascoli, pecore e altri animali lasciati liberi di gironzolare.
Ogni tanto vedo una balla di fieno e ricordo Petur, la nostra guida in Islanda che sembrava la versione isterica di Bruce Dickinson, dare una sberla a uno di quei cosi dicendo: "Anni fa, questi volevano dire ricchezza!".

Arriviamo a Nottingham e riecco apparire i bidoni della spazzatura in stazione.
Scopriamo, con grande sorpresa, anche dell'esistenza di un bus gratuito che fa il giro della città e che arriva quasi fino al nostro ostello. Nottingham è costruita su varie colline, non si impenna di colpo come Trieste, ma ogni tanto ci sono delle specie di zeppe che salgono lentamente e questo rende la presenza del bus gratuito ancora più gradita.

In ostello condividiamo la camera con altre 6 ragazze.

Gli ostelli meritano sempre un capitolo a parte. Sono decisamente più economici degli alberghi, ma sono  un terno al lotto, soprattutto quando si tratta di camerate condivise con sconosciuti. Mi son sempre piaciuti gli ostelli, paghi poco e hai occasione di conoscere un sacco di gente nuova e per (ovvero: intendo studenti con un budget inferiore al salario medio di una babysitter come la sottoscritta).
Le sale comuni degli ostelli sono caotiche, piene di persone che si raccontano dove vanno, cosa fanno, perché hanno scelto di venire in questa città. "E' tuo amico?" "No, l'ho conosciuto 5 minuti fa".
A Barcellona ho almeno una decina di foto con dei ragazzi conosciuti 5 minuti prima dove sembriamo migliori amici in vacanza studio.

Questi posti hanno la capacità di attrarre personaggi davvero surreali che vanno dal canadese gasato venuto in Europa per festeggiare (Interlaken), polacchi che giocano a carte con David Guetta a palla alle 3 del mattino (Budapest), il francese che tenta di svegliarti per fare sesso (Barcellona) o l'americana che urla su Skype con la madre per delle ore (Reykjavik).


Poi però sono arrivati gli smartphone.

E le sale comune degli ostelli sono diventate più o meno così:




Con l'aggiunta di qualche Disco Stu.


Appena entriamo nella nostra stanza c'è un pentolino là, in mezzo al pavimento.
Rito pagano, ospite disordinata o monito? Non voglio distruggere la composizione Feng shui di qualcun'altra, quindi lascio il pentolino dov'è.

Una delle ragazze è impegnata al pc, un'altra si pettina, gli altri letti sono vuoti.
Sembra nessuna si sia accorta del cambiamento di latitudine tra il corridoio (clima temperato umido) e la stanza (clima artico), forse anche la finestra spalancata fa parte del sistema di Feng shui. Il ricambio d'aria è sempre benvenuto in una camera affollata, ma quando è un orso polare quello che sta cercando di entrare è decisamente troppo.

Approfittando successivamente dell'uscita delle altre ospiti, abbiamo scoperto come in realtà chiudere la finestra è un rebus da ultime pagine della Settimana Enigmistica. Semplicemente le altre non hanno chiuso la finestra perché non capivano come si chiudeva. E non è stato facile, ma alla fine la missione è stata compiuta senza fare morti o danneggiare l'arredamento.

Quando si viaggia all'estero c'è sempre un'altra grande sfida, oltre agli arredamenti e alle docce col sistema di risparmio dell'acqua: i nomi.
"Se il ragazzo della reception era francese" dico, mentre mi arrampicavo sul letto a castello: "Come fa a non capire Valeria? Non è molto diverso da Valery o Valérie, c'è anche la canzone".
La palma d'oro alla storpiatura però va alla signora che mi ospitava ad Amburgo, convinta che il mio nome fosse Valeena, il secondo posto la signora islandese con Valgerður, sono sempre suggerimenti per cambiare identità o trovare la bottiglietta di Coca Cola con scritto il nome giusto.

E' lì che Ambra si affaccia dal letto di sotto con espressione rassegnata:
"Almeno il tuo nome è incomprensibile, ma non imbarazzante. Nel senso, quando io mi presento a un inglese loro capiscono sono reggiseno"

"Cosa?"
"Eh, Am bra. Hi, I am Bra"

"Non ci avevo mai pensato"
"Ora lo sai"
"Sei tipo la figlia di Vegeta, mica si chiamava Bra anche lei? Magari hanno trascritto male e si chiamava anche lei Ambra"

Evito una cuscinata sul naso.

E' il momento di girare per la città. Questo:



scatena un loop incontrollabile di trash anni 80 che fa sempre bene.

A un certo punto, in piazza, appena davanti all'edificio del comune, ho un'illuminazione
Young man, there's no need to feel down
"Ma..." 
...I said young man...
"Dimmi"

...pick yourself off the ground, I said...
"Sento che c'è un particolare di Notthingam che continua a sfuggirmi" 
...young man!
"Come? Guarda il tizio con lo skate, lo faccio io e cado dalle scale"
...cos you're in a new town
"Che ho una canzone che mi rimbomba in testa e non riesco a collegare, ma non saprei"
...there's no need to be unhappy, young man!
"Non nominarla"
...there's a place you can... you can...oddio, come va avanti? You can... come? No, you can GO!

In questo mezzo secondo di incertezza le sinapsi si collegano.
Distolgo lo sguardo dai tizi in skateboard, guardo Ambra ignorando il flusso dei pensieri che ora è quasi al ritornello.
"Ma Notthingham non è mica la città di Robin Hood?"



Meglio tardi che mai.





ziip.
...
ziiiiiiup. 


ziiiiiiiip.
...
ziiiiup.

E' ancora buio fuori.

ziiiiiiip
ziiiiiiiiiiup.

Accendo il telefono, 06:12

ziiiip. Bonk. Rumore di sacchetti accartocciati.
Mi affaccio da sotto al piumone. Ziiiiup.

La ragazza spagnola del letto davanti apre e chiude le cerniere della valigia. Apre ziiiiiiiip e chiude ziiiiiiiup, apre e chiude con quello che deve essere uno dei rumori dei primi gironi infernali.
"Devo mettere la sveglia alle 02:00, è un problema?" chiesi alla receptionist dell'ostello a Reykjavik che mi rispose con una scrollata di spalle e un "It's a hostel".
10 minuti e 20 cerniere per mettere via un pentolino.


Alle 9.30 ho già superato la coda dei bagni e sono pronta davanti all'ufficio della reception per ufficializzare il check out, mentre Ambra è di sopra in attesa che si liberi un lavandino.
La porta dell'ufficio si apre e il proprietario, una specie di versione meno pompata, più gay e decisamente francese di Jena Plissken esce in accappatoio e va verso i bagni.

L'attesa sarà lunga, dato che gli unici tre presenti nella sala comune sono un coreano, un belga e un'olandese con la faccia fissa sugli schermi dei loro pc. Scambio qualche parola con la ragazza, il belga parla olandese e mi spiega che è a Nottingham per un programma di master, ma non trova la casa. La ragazza è qui solo per partecipare alle feste studentesche (e chiamala scema), mi dice di avere già abbordato un tedesco che è in camera con lei.
Il coreano, annoiato da tutta quella interazione dal vivo, si dilegua.

Verso le 10 scende Ambra, appoggia la giacca sul divano e mi guarda:
"Sono italiani?"
"No"
Butta la borsa sul divano:
"Oh, ma quanto sono maleducati i cinesi?"
"Cinesi?"
"O coreana o checazzoneso. Non era in camera da noi, esce dopo aver fatto la doccia e lascia in bagno 3 dita d'acqua ovunque. Ti dico, navigava anche il tappeto, ha lasciato capelli ovunque. Volevo farmi la doccia, ma ora che asciugavo tutta la laguna facevamo mezzogiorno. Questa prende bella bella e se ne va".
"Dai, la fai stasera"
"Sì, ma non è tutto!" prende il mascara e si avvicina al micro-specchio della sala comune: "Hai presente il tizio della reception?"
Jena dei poveri "Eh, sì, è uscito prima in accappatoio".
"Ecco, io sono in bagno con la porta aperta, tanto mi lavo i denti e basta. Esco dal bagno e me lo trovo lì con la faccia perplessa che guarda l'acqua scorrere in corridoio. Lo guardo e gli dico: "Scusa, ma non sono stata io a fare tutto sto casino, ho il check out tra neanche mezz'ora, non ho tempo di sistemare i cinesi che giocano alla laguna di Grado" e me ne vado".

La guardo aspettandomi una reazione da parte di Jena.
"Non moppo a casa mia, ti pare che mi metto a moppare la merda di un'altra?"
"E lui?"
"Ha preso il mocho e ha iniziato a moppare".

Facciamo il checkout alle 10.30 con i saluti e i ringraziamenti di Jena.



Ci fermiamo a far colazione vicino al municipio. Ci sono 7 soli, ma l'aria è fredda e le nuvole sono in agguato. Mentre lei rimane al bar, io vado a cercare la cartolina da aggiungere alla mia collezione.
Gli inglesi amano moltissimo le card, quelle che noi usiamo come biglietti di compleanno, loro ne hanno a centinaia per oggi occasione, anche i funerali. Il risultato è che le cartoline sono tra le cose delle pacchianate indecenti, peggio anche di quelle delle città più sperdute della Svizzera: foto con gente in shorts davanti, scorci di città che non vogliono dire nulla, scritte in Comic Sans blu elettrico sulla facciata del castello.

La selezione della meno peggio dura una decina di minuti, mi fermo a fare qualche foto di una via laterale con il monumento di Brian Clough (Il maledetto United, libro e film consigliatissimi se amate il calcio o il cinema inglese) e rientro al bar.

Ambra, con un'espressione terrorizzata, incrocia il mio sguardo.
"Non trovo il cellulare"
"Ti chiamo"
"No, non lo sento in borsa. Devo tornare all'ostello"
"Sì, ti aspetto qua, col pullman tra andata e ritorno ci metti venti minuti a dir tanto".


Quasi 2 ore dopo diluviava e di lei non avevo ancora notizie.