domenica 17 febbraio 2013

Se consulti le cartine, non finisci a Solothurn.

Aspettavo la pausa del semestre per poter riposarmi e ripartire, perché se sto ferma troppo nello stesso posto mi viene la muffa. Ed è sempre incredibile come la sottoscritta, dotata di livelli di pigrizia a dir poco imbarazzanti, riesca però ad accettare (e applicare) volentieri l'idea di alzarsi presto la mattina quando è in giro. E per "presto" intendo orari normali, quando la mattina inizia intorno alle 7 del mattino e non alle 13, inizia con una colazione semi decente e non con un pasto indefinito che non può essere colazione, ma neanche pranzo, bensì qualcosa che scivola pericolosamente verso la merenda. Tradotto in termini pratici diventa: apri il frigo e mangia la prima cosa che vedi, che sia yougurt al caffè, una scatoletta di pancetta affumicata o i pomodori.
Vista così comincio a capire perché mia madre si lamenta sempre di "abitudini alimentari vergognose". Grazie, mamma, tu cerchi di riportarmi sulla retta via. Io però sono impegnata ad aprire la vaschetta del salmone alle 13.46 del martedì di vacanza, di solito.

Tornando al punto.
Taglio sulle vicissitudini pratiche e decisionali della cosa, dico solo che il posto che ho scelto per scrollarmi la muffa di dosso è stata la Svizzera. In treno.
La Svizzera che di solito non calcola nessuno, troppo vicina per essere considerata una meta degna di nota, troppo cara per valutare un weekend lontano da casa, troppo ordinata, precisa e pulita per accogliere i suoi caotici e confusionari vicini.

Ma le mie priorità erano:
a) trovare un posto non troppo lontano perché "da sola in aereo non ci vai" (da sola in aereo in Danimarca no, da sola in treno a girare a caso per la Svizzera sì. Ci deve essere una logica, ma non la colgo);
b) approfittare degli sconti dei treni senza arrivare a spendere una bordata di soldi nelle spese per gli spostamenti tra Italia e paese scelto. Un vicino di casa che ha sbagliato una prenotazione Interrail è stato una manna dal cielo: paese vicino, senza aereo, prezzi bassi.
c) altre priorità che ora non ricordo.

Ho fatto l'itinerario in 2 giorni scarsi (leggasi: ho prenotato gli ostelli meno cari dicendo "In qualche modo ci arrivo") e sono partita da Milano il 14/2 alla volta della prima città a caso che il mio """"itinerario""" consigliava. Itinerario, tra l'altro, ispirato da alcune guide turistiche di nessun valore trovate in giro per la rete, il sito ufficiale del turismo svizzero e qualche opinione su forum vari.


14/2
Thun
Su territorio italiano c'erano 14 soli, neve in via di scioglimento e qualche pigra nuvoletta che gironzolava tra le vette delle montagne intorno a Domodossola. Poi è arrivato il tunnel del Sempione.
Appena uscita, mi ci son voluti un po' di secondi a riacquistare l'uso della vista (tunnel buio che si spalanca all'improvviso su una distesa di neve lucente non è il massimo, ecco). Quando son riuscita a vedere di nuovo ho temuto seriamente di essermi addormentata per moooolto tempo e di aver preso il Milano- Vladivostock più che il Milano-Basilea. 
Cielo bianco. Neve ovunque. Alberi così carichi di neve che si piegavano in modo indecente e sembravano sul punto di rompersi, fiumi larghi come il Naviglio a Porta Genova completamente gelati, nessuna forma di vita per chilometri e chilometri. Il treno correva, saltava stazioni vuote, si fermava in altre altrettanto vuote: lì i passeggeri scendevano e quando parlavano il fiato gli si congelava direttamente, cadendo per terra a forma di stalattite.
Cielo, son finita in Lapponia.

Thun. E il fiume Aar.
La prima tappa è stata Thun la porta sull'Oberland Bernese come la chiama il sito ufficiale. 2 ore e mezza di treno da Milano, quando ormai sei abituato al paesaggio e rassegnato all'idea di abbandonare il tepore del vagone e, sì, anche un po' la signora che urla al telefono dietro di te da quando avete passato Briga.
Thun è una città di dimensioni medio-piccole, attraversata dal fiume Aar (o Aare) e affacciata sul lago di Thun (che fa sempre parte del bacino dell'Aar): è una città senza grosse pretese, che vive di turismo di lago, con il castello che dice "Turisti! Se vi siete rotti di vedere le barchette sul lago, venite qui!". Dopo 300 gradini di passione e bestemmie sussurrate, la fatica di portarsi su lo zaino da 4kg oltre alla tua persona di chili non ben definiti e che non voglio definire, lo sforzo viene però premiato. Dal castello, dove la custode ti rifocilla di cioccolatini gratis, probabilmente consapevole del fatto che una volta in cima mangeresti anche le impalcature, la vista è meravigliosa. Anche in giornate uggiose, biancastre e fuori dalla stagione turistica. come quella di mercoledì


Interlaken
Sull'altro capo del lago di Thun, sempre sull'Aar, mezz'ora scarsa di treno e appena scendi pare di aver cambiato latitudine. Interlaken è gelida, chiusa tra alcune delle montagne più alte del paese, con un vento perenne dalla capacità di soffiare da qualunque direzione in qualunque momento. Se senti le volate in faccia, hai contemporaneamente una corrente fretta che ti spinge verso sinistra, una da destra e una che ti entra nel giubbotto da sotto. Ed era piena di orientali. Più che un cantone svizzero sembrava una provincia cinese o giapponese o coreana. In proporzione vincevano i cinesi però.

Interlaken. E il fiume Aar.

Interlaken è un buco di città, ma, senza cartina, mi perdo. Fermo una ragazza:
"Sorry, I have to go to this place"
"Ah, I know it! You go..." si guarda intorno perplessa. Assume l'espressione di una che, per la prima volta dopo tanto tempo, sta chiedendosi dove fosse, in che città, in che decennio e perché. Tremo.
"You... you... come!" mi afferra per un braccio e mi trascina alla meta. Brutale, ma gentile.

A differenza di Thun, Interlaken trasuda turismo da ogni angolo. Una via solo di negozi di souvenir che raccoglie tutti i luoghi comuni sulla Svizzera, orologi, formaggio, coltellini, bandiere quadrate, mucche, una città-parodia di un paese insomma, usata solo come appoggio per chi va a sciare nelle valli intorno o chi (in estate) decide di farsi le crociere sui laghi. Niente da sottolineare, quindi, ma la forza di Interlaken sta proprio nel fatto che non ha pretese di nobilitazione di alcun tipo: è una città turistica, nient'altro da dire. Non intorta i turisti inventandosi attrazioni o monumenti di dubbio valore, appena scendi dal treno ti piazza in mano il pass per andare a sciare sulla Jungfrau e tanti saluti.
Ha un caprone come stemma, cosa ci si aspetta di più?


15/2
Lascio Interlaken mentre nevica come se fossi davvero in Siberia e 2 ore di sonno scarse a causa di compagni di camera che russavano come caproni. L'unico piano della giornata è essere a Berna per sera, il giorno è mio. Il primo piano della giornata è dormire in treno, cosa che viene subito vanificata salendo sul Lucerna- Berlino: per evitare di chiudere gli occhi a Thun e svegliarsi ad Hannover, prendo una cartina (la prima e l'unica di tutto il viaggio) con la mappa ferroviaria e la studio. C'è una città poco a nord di Berna che sembra uno snodo ferroviario importante, Olten: da lì si può andare praticamente ovunque.

A Berna mi colpisce un abbiocco potente, complici anche i continui tunnel, che riesco a sconfiggere ricorrendo al pensiero di me stessa seduta su una panchina della stazione di Hannover mentre mi litigo il posto con il barbone locale.

Scendo a Olten, vedo il fiume Aar (ebbene sì), cerco, invano, di acquistare una cartolina, poi salgo sul primo treno che capita. Che brutto errore.


Solothurn
Spero ci sia un posto speciale all'inferno per chi consiglia Solothurn nelle guide turistiche. Quello che colpisce di più è il silenzio irreale che domina in tutta la città, nonostante ci sia gente in giro. Attraverso il ponte sull'Aar (sì, attraversa anche Solothurn) e già si intravedono le cupole della basilica di cui parlava la guida. E niente: la basilica c'è, anche piuttosto deludente, le scalinate scendono verso la "via dei negozi", 500 metri scarsi di via dritta in sanpietrini che finisce contro un palazzo che sembra dire "Bona, hai visto tutto, adesso levati dalle scatole". La tanto decantata Porta di Basilea, proprio accanto alla chiesa, è un arco a volta in mattoni, minuscolo, che si affaccia sul nulla cosmico.

Solothurn. E il fiume Aar (che ha il coraggio di venirci pure lui)

Neanche un'ora dopo ero già in stazione a chiedermi cosa fare, cosa mi è venuto in mente quando ho deciso di prendere il treno per venire in questo buco di città, ma, soprattutto, cosa ha fatto Solothurn per meritarsi il titolo di capoluogo cantonale. Alla fine della "via dei negozi", mi son girata a guardare la chiesa e mi sembrava una versione triste di quelle città che si inventano chissà cosa per attirare turisti. Mi sembrava Mortara. Inoltre, è un caso palese di nomen omen: in italiano è Soletta. Soletta. Chi mai ci va in un posto che si chiama Soletta? Io, che giro senza cartine.

Mentre meditavo sull'inutilità di questa città, al bar parte L'amico è. Questo è il segnale che bisogna levarsi dalle palle, prima che mettano anche Osanna è e peggiorino la situazione.


Neuchatel
A mezz'ora di treno da quel postaccio ce s'è rivelato Solothurn, c'è Neuchatel, altro capoluogo cantonale, questa volta nella Svizzera francese, affacciata sull'omonimo lago. Quello che colpisce subito della città, oltre al fatto di avere un punto di informazione turistica, è che è in pendenza. La stazione è in cima a una collina, per andare al lago puoi scendere a piedi o rotolando, se prendi il giusto lastrone di ghiaccio, arrivato in fondo scopri l'esistenza di una funicolare per tornare su verso la stazione e capisci che le bestemmie che hai tirato durante la salita per il castello di Thun serviranno ancora. Difatti ne parte subito una quando ti giri e ti accorgi di aver appena concluso una discesa che sarà intorno al 12% di pendenza: non è tanto per le gambe che stanno per cedere e al pensiero di aver sprecato energie inutili a camminare per Solothurn, quanto che, in qualche modo, bisognerà tornar su. E 5 franchi per la funicolare non li spendo.

Neuchatel.  Questa volta senza il fiume Aar.

Porto e lago, ovviamente, sono più imponenti di quelli di Thun. Neuchatel, inoltre, è completamente diversa dalle città della Svizzera tedesca, più elegante anche negli edifici e nella disposizione delle strade, più cara di Thun e Interlaken messe assieme. Il castello di Neuchatel (anche lui in ristrutturazione) è, ovviamente, in cima a una collina che non è la stessa di quella della stazione: le collinette non sono dolci pendii da percorrere tranquillamente, in prossimità delle colline la città si impenna. Letteralmente.

Arrivo al castello dal lato delle scale e, a giudicare dallo sguardo che mi lancia una signora di passaggio, ero probabilmente conciata come la Sposa in Kill Bill 2 mentre trasporta i secchi d'acqua sulle scale del tempio di Pai Mei. Un paio di foto, qualche minuto a riprendere fiato, poi mi avvio verso la stazione.
Sì, ma come?
Fermo una signora (non quella di prima) e chiedo informazioni.
"Scusi, per la stazione?"
"Stazione... devi scendere, poi prendi Avenue de la Gare"
"Come scendere? Ma sono alla stessa altezza qui"
"Sì, ma non ci sono strade dirette, devi scendere giù verso il centro e poi risalire".

Scendere e risalire. Scendere e risalire. Togli la cera, metti la cera. Non bestemmiare, è francofona, ti capisce.

Avenue de la Gare è una versione più dolce della discesa, diciamo 10% di pendenza anziché 12%. Il passo lento da mulo da soma che sta ancora porconando contro l'inutilità di Solothurn, perché in quei momenti te la prendi con tutto, mi fa fare la strada insieme a una ragazza sconosciuta. Qualche sorrisino, qualche sguardo da "Lo so cosa stai pensando, perché lo sto pensando anche io". 
Camminiamo parallele per un quarto d'ora come nelle gite in montagna con l'oratorio, quando si genera quel cameratismo tale che si basa sulla velocità della tua andatura più che sull'amicizia, così finisci a parlare con quella di un anno in meno che non hai mai cagato di striscio e scopri chissà che cose interessanti, poi arrivati in cima magari hai perso un polmone, però hai conosciuto una persona interessante.

Ci separiamo in stazione rivolgendoci un cenno di saluto, io verso il binario di Berna, lei quello per Solothurn. Che Dio t'assista, ragazza. Che Dio t'assista.


Berna
Capitale di Svizzera, dell'omonimo cantone, quinta città più grande del paese, attraversata dal fiume Aar. Adesso pare che l'Aar sia l'unico fiume di tutta la Svizzera, ma è solo il più lungo e questo mio vagabondaggio sulle sue rive è stato del tutto casuale, giuro.

Berna
Berna è più internazionale di Neuchatel, ma non internazionale come Zurigo. Più caratteristica di Friburgo, ma meno di Thun. Più bella di Solothurn, questo poco ma sicuro.

Berna è stata la vera sorpresa positiva del tour: oltre a sottolineare il suo status di capitale e il centro storico patrimonio UNESCO, le guide non dicevano molto altro. Invece, complice anche il carnevale ancora in atto, una delle cose più folli che io abbia mai visto, Berna s'è una città meravigliosa, davvero una bella sorpresa. Dal centro storico con le vie in pendenza (meno di Neuchatel) al palazzo della Curia della Confederazione, affacciato su una piazza insieme a quello della Banca Svizzera e di un Ministero, alla gente con indosso assurdi vestiti di carnevale. Berna ha riassunto tutte le note positive delle città viste in questo breve giro, anche l'unica di Solothurn: la stazione che là è servita per levarsi dalle scatole, a Berna era una città nella città.

Che hanno capito tutto, visto che il traffico Bern-Solothurn era relegato a un tristissimo tunnel sotterraneo senza negozi, dove mancava solo la scritta "Entrate a vostro rischio e pericolo".

Il fiume Aar, Immancabile.