domenica 20 gennaio 2013

Natale dove vuoi, Pasqua (2012) pure.

Per festeggiare il ritrovamento de blog la cosa migliore è parlare dell'ultimo pellegrinaggio italica. In terra straniera diventerebbe un po' lunghetto, io non ho la pazienza, 3/4 di chi legge viene sicuramente ammorbato ogni tanto nelle riunioni di amici e parenti da quello che è stato una volta in un posto lontano e sconosciuto (di solito Stati Uniti o Australia) e lo racconta come se ci avesse vissuto 6 anni.
Al massimo c'è stato due settimane con un tour guidato o con un'offertona di LastMinute. Non importa, si attaccherà a tutti i pretesti per uscire con frasi come "In *inserire meta* questa cosa non è tollerata" o "Quando sono andato in *inserire meta*..." o "Ti ho mai detto quando in *inserire meta*..."

Le regole del gioco sono semplici: qualsiasi destinazione sia più distante in linea d'aria di Portogruaro o, ancora meglio, fuori dai confini nazionali (il Canton Ticino, non so perché, non conta) diventa automaticamente quella specie di città/terra mitica che aspetta solo di essere esplorata da lui/lei, appena scesa all'aeroporto e fresca di litigio con assistenti di volo Ryanair sul prezzo dei profumi. Guai a dire una meta più lontana di quella appena citata.Guai. Più che altro perché la maggior parte delle volte l'Avventuriero non sa dove si trovi.
Una volta stavo ascoltando una di questi Avventurieri che pontificava su un edificio orrido visto l'estate prima a Sharm el Sheik (a proposito di mete esotiche, tutte da esplorare), talmente brutto che rovinava il panorama. Quando ho detto: "Dovresti vedere la Cattedrale di Reykjavik" mi ha guardata come se avessi appena ruttato. Ho abbassato il tiro: "La Sagrada Familia di Barcellona è molto bella però". Al che è seguito un cenno d'assenso e sul fatto che Barcellona è una bella città.
Non sono spocchiosa, solo che non raccontare le tue avventure di donna/uomo vissuto se hai fatto una settimana a Limito di Pioltello a combinarne di tutti i colori e torni convinto che nessun altro sia maturo quanto te e nessun'altra meta sia bella quanto quella che hai visto tu.

Basta, sto divagando.

Torniamo al punto di partenza: anche qui il tutto è stato mosso dall'olandese, più precisamente da una delle poche persone con cui ho mantenuto contatti più o meno regolari dopo il ritorno dal Belgio 2 anni fa e sono contenta di questo contatto, perché penso sia una delle persone che ho conosciuto negli ultimi anni con cui ho trovato più empatia in assoluto. Momento sentimentale concluso, non sbattetevi ad andare a prendere i fazzoletti rimasti sul tavolo della cucina, state pure tranquilli.

Dicevo, tutto è cominciato da un "Dobbiamo rivederci, è da fine Agosto che non ci si vede".
Io sono a Milano, lei è in trasferta-studi a Trieste.
"Città intermedia?"
Siamo studenti. Siamo squattrinati. Non siamo motorizzati, al massimo trenitalia dotati. Che culo!
"No, non val la pena. Perché non vieni qui a Trieste e poi giriamo un po', magari andiamo in Slovenia..." Era il 2 Aprile, Pasqua l'8.

Con scatto felino, il 3 avevo in mano i biglietti scontatissimi dei treni andata e ritorno Milano/Trieste, il 4 notte, tra gli urli di mia madre sul fatto che io e l'organizzazione siamo (e saremo sempre) due cose distinte e che uno sano di mente non può mettersi a fare la valigia la notte prima di partire, ho finito il bagaglio, il 5 nel primo pomeriggio ero già sul Frecciabianca.


Il treno è in assoluto il mio modo preferito di viaggiare, concilia il sonno meglio dell'aereo e puoi goderti panorami migliori di nuvole-nuvolette-sole accecante- tendina tirata giù dal vicino dell'aereo. Tutto questo non vale sulla Milano-Brescia. Mi sono riservata il posto nel salottino da 4 persone con tavolino. "Ma non dormire con la testa sul tavolino, sennò sembri una tossica!" le parole di mia madre mi hanno rovinato la pennichella dell'andata, inutile negarlo. Il mio tramezzino tonno-uovo e un Kinder Pinguì appena acquistati aspettavano con ansia di essere divorati, il mio stomaco bramava le scagliette di cocco sul Kinder Pinguì e io aspettavo la partenza per godermi un pasto da viaggiatore e mitigare la tristezza nell'attraversare stazioni come Lambrate o Segrate.

L'imprevisto è arrivato, nella forma e nei vocioni di tre grossi bresciani appena rientrati da Parigi che reincarnavano precisamente tutti i pregiudizi intorno al bresciano medio: lingua incomprensibile, grandi, grossi, caotici e... muratori. Muratori orgogliosi, che si illuminavano ogni qual volta appariva un pilastro della linea d'alta velocità ("Vedi? Quello l'abbiamo finito a dicembre!"), con la bocca piena di complimenti (credo) per il quartetto di finlandesi sedute nel tavolino accanto e di critiche per il soggiorno a Parigi appena concluso. Circondata da questi pittoreschi compagni di viaggio non riuscivo né a dormire (quello davanti a me sarà stato 2 metri per 200kg e DOVEVA per forza allungare le gambe), né a mangiare in pace (mangiate un panino davanti a 3 energumeni che hanno fatto solo colazione prima di partire dalla Francia e poi più nulla. Nulla!).

Di tutto il viaggio posso dire con sicurezza che Milano-Brescia è quello che sembra non finire mai, come la carta igienica. Quando sono scesi tutti e tre raccomandandomi di tener loro un posto per il prossimo viaggio tutti insieme, avevo talmente fame che mi sarei mangiata una finlandese. Poi mi sono ricordata del panino, che nel frattempo era scivolato in qualche anfratto del sedile e devo averlo divorato in modo anche piuttosto scenico, visto il cimitero di briciole sul tavolino e un paio di finlandesi perplesse che fingevano di guardare i pilastri incompleti della Brescia-Verona (piuttosto che le incantevoli montagne dal loro finestrino) quando in realtà stavano fissando la macchia di maionese che avevo sul naso.

La comitiva finlandese è scesa a Verona e, tranne un tizio che si è tirato in testa il bagaglio a Vicenza dando la colpa a 3/4 degli abitanti del Paradiso, è andato tutto bene.

Poi Mestre. La degradante stazione di passaggio, a un passo dalla poesia di Venezia, con la capacità di richiamare in sé la crème de la crème dei viaggiatori in arrivo da Venezia o che Venezia non l'hanno vista manco in cartolina. Il tempo di assistere a una rissa intraculturale tra un barbone italiano e uno africano e poi via sull'interregionale veloce per Trieste. Altre 2 ore e poi a destinazione!

Serata tranquilla, giornata successiva ad esplorare quel di Trieste che non avevo visto durante la mia visita-lampo un anno prima (ed era tanto quello che non avevo visto), intanto si discute sul cosa fare la sera e a Pasqua. La sera non c'erano problemi, osmizza poco ma sicuro (http://it.wikipedia.org/wiki/Osmizza) per far contento il colesterolo. Ma a Pasqua?



Piani ambiziosi di gioventù suggerirono inizialmente Belgrado, piani finanziari in rosso di studenti universitari reclamarono a gran voce che non era il caso. Graz? Lontana. Ljubiana? Pure.
Aspetta però che stasera ci si sfonda di salumi, domani c'è Immanuel Casto e abbiamo altro a cui pensare.

La mattina del 7 Aprile si apre uggiosa e cupa, ben diversa dalla giornata precedente, ma siamo forti e temerari, abbiamo il gusto dell'orrido, del brivido e del trash (in questo eccedo in modo particolare). Abbiamo un'auto, abbiamo un guidatore designato, abbiamo la compagnia e ora anche una destinazione: lasciamo alle spalle gli accenni di pioggia e bora a Trieste e ci avventuriamo alla volta di Pula (Pola in italiano), in Istria.

Ora, una piccola precisazione. I tempi in cui, nella biblioteca dell'hotel di Andalo, recitavo a memoria tutte le capitali europee a mio padre sono finiti: avevo 8 anni, un numero di Topolino (Paperino se ero fortunata a trovarlo in edicola) che doveva bastarmi 2 settimane, un mazzo da briscola e nient'altro. Dovevo pur trovarmi qualcosa da fare, oltre a rileggere le stesse storie di Paperino 300 volte, così sapere che Stoccolma era la capitale della Svezia e Kiev quella dell'Ucraina (manco sapevo dove fosse l'Ucraina) mi sembrava un passatempo valido. Tutto questo giro di parole per dire: la mia conoscenza geografia ora, comparata ad anni fa, è pessima.
Così un anno prima, la mia prima volta a Trieste, quando mi dissero "Andiamo a Capodistria" (Koper in sloveno) io, appena scesa da 5 ore di treno (e cambio a Mestre) mi ero chiesta: "Perché andare fino in fondo all'Istria?".

Koper è sulla costa slovena, appena fuori Trieste. Non in Istria. Non in Croazia. Pula è in Istria, ma neppure lei è nella punta dell'Istria. Premantura è la città che più si vicina al capo dell'Istria, non Capodistria (che per di più si scrive tutto attaccato) che è da tutt'altra parte e allora perché si chiama Capodistria se manco si trova in Istria, manco un capo è.

Insomma, dopo tutte queste riflessioni eravamo già a Dragonja, sul confine tra Slovenia e Croazia. I croati, che stranamente non hanno rotto come al solito al controllo documenti, ci hanno fatte passare in fretta e in un attimo sono stata gettata nella più completa disperazione dalla serie di doppi nomi italiani e croati diffusi in Istria: Porec è Parenzo, Novigrad è Cittanova, ma Nova Vas diventa Villanova. Troppi nomi per me.

Due ore d'auto eravamo a Pula e io avevo dimenticato tutta la confusione di nomi con una mezza dormita e la musica di un duo reggae francese, i Tyro (che consiglio caldamente).
Dopo un'affannosa ricerca dell'ostello, che si era rivelato più infrattato del previsto, eccoci per le strade di Pula.

Vedo grigio. Ovunque.

Pula, che è una città tipicamente estiva. E cosa succede alle città che vivono di turismo estivo in una giornata cupa in bassa stagione? Diventa come una di quelle ragazze che sei abituata a vedere truccatissime e perfette e quel giorno che escono senza un filo di trucco ti fanno fare un salto sulla sedia pensando di aver incontrato la gemella brutta appena uscita dallo sgabuzzino in cui ha passato una vita. Ergo: la città era incupita, spenta, con colori completamente diversi da quelli che si vedevano nelle cartoline, in foto scattate sotto un sole cocente con strade piene di tedeschi rossi come aragoste.

è anche una delle poche città della zona a vantare testimonianze concrete del passaggio dei romani, l'arena da cui si vede il mare, l'arco di trionfo, il tempio di Apollo, resti di colonne buttate nei parchi gioco, altre colonne adibite a panchine per barboni, la casa di Agrippina incastrata tra palazzi moderni su cui si affacciano balconi e signore che sbattono la tovaglia del pranzo... qui si sente lo spirito italiano: una grande eredità storica messa a cazzo di cane.

Dopo una scarpinata infinita, un pellegrinaggio nei bar, torniamo in ostello con la promessa di sfruttare almeno una mattina i costumi da bagno. Sì, proprio.
L'ostello era uno di quegli ibridi turistici che soprannomino per l'occasione "campello", una reception e un paio di camere in un vero edificio di mattoni e il resto in bungalow sparsi a caso in giardino, un po'affacciati sul mare, un po' su un inquietante bosco e il resto vicini alla tettoia della colazione. Il nostro """"appartamento"""", una rulotte senza ruote con 2 letti a castello e un bagno era la più remota: incastrata tra il bosco inquietante e la spiaggetta di sassi, lontano dal recinto della colazione. Per di più era chiusa da Agosto, appena aperta la porta è uscito un fetore che ricordava un po' una palude del Po, una pescheria di Genova e qualche pantegana particolarmente voncia dei canali di Venezia. Un po' tutto insieme. Ah, sentivo anche una punta di alghe del Naviglio nei pressi di Porta Romana.

In un attimo ci si abitua all'odore, o si sviene sul letto per il fetore, non so, la linea è molto sottile.
La mattina dopo non è I wanna rock dei Twisted Sister a svegliarmi, ma uno scroscio indecente proveniente dall'esterno. Il dormiveglia di primo grado mi suggerisce un attacco di zombie provenienti dal boschetto come in un film di Romero, di quelli sadici e affamati che si attaccano alle pareti e iniziano a graffiare.
Il dormiveglia di secondo grado sostiene invece fosse un qualcosa che bolliva sul fuoco.
Il dormiveglia di terzo grado (la veglia praticamente) mi dice: "Cretina, sta diluviando"

C'è qualcosa di più triste di una città pensata per il turismo estivo vista d'inverno? Sì, una città pensata per il turismo estivo vista fuori stagione su cui si sta abbattendo un diluvio universale. Queste città hanno la capacità, sotto la pioggia, di trasformare tutti i colori di cui sono dotate in estate in tonalità cupe, grigio e nero in prevalenza. Sembrava di vivere in un film degli anni Quaranta, pure l'acqua della spiaggetta, che ieri era verde-azzurra, oggi era verde-nera. I sassi? Grigio chiaro. Il bosco? Nero-verde. La colazione? Un festival di colori normali appestati dal grigio.

altro che 50, qui ne vedo 120 di sfumature di grigio

Prendi un po' di marmellatine, và, così non abbiamo problemi col pranzo.

Il viaggio di ritorno non è stato pittoresco come quello dell'andata, soprattutto perché ho dormito alla grande, aprendo un occhio ogni tanto per intravedere un cartello o sentire a che canzone eravamo arrivate con il cd dei Red Hot Chili Peppers (dite quello che volete, By the Way e Californication sono i migliori per i viaggi in macchina).

Pasqua tra cioccolatini, dormite e film serale. Poi il giorno dopo di nuovo treno e di nuovo casa. Prima di addormentarmi ho fatto in tempo a vedere Trieste allontanarsi ascoltando Sultan of Swing dei Dire Strait: adesso ogni volta che sento "We are the Sultans... we are the sultans of swing!" mi viene in mente l'immagine del castello di Miramare. Poi non ricordo altro, il treno era diretto fino a Milano, la seconda volta che ho aperto gli occhi ho letto "Lambrate" e sono letteralmente rotolata giù dal sedile, facendo spaventare la povera ragazza cinese davanti a me.

Naaah, i colori ci sono! Eccoli! Basta aver fiducia (e sole)


Volevo precisare che io non dormo, compio degli studi sul letargo umano. Un giorno le mie ricerche serviranno a qualcosa, tipo creare poggiatesta più comodi sui treni.

venerdì 18 gennaio 2013

Hai impegni per venerdì 18?

I romani credevano che il 17 fosse il numero porta sfortuna per eccellenza. Quando ancora usavano le lettere per indicare i numeri 17 era XVII, anagramma di VIXI che, come cinque anni di latino hanno provato inutilmente a insegnarmi, vuol dire "vissi" ovvero: prima ero vivo, ora non lo sono più (quindi so' morto).

Il 17 è un numero porta sfiga perché è l'anagramma di un sinonimo di "morto". Avevano un sacco a cui pensare, questi romani.

In 22 anni di vita, però, il mio numero porta sfiga per eccellenza è sempre stato il 18. Il 18 (e il 29 settembre, ma quello penso sia un caso particolare) è il giorno delle catastrofi e delle brutte notizie e oggi, venerdì 18, è il climax di tutto questo. Non sono neanche le 15 e posso dirlo tranquillamente: è una giornata di merda.


Giornata di merda che comincia con Madre che da di matto su argomenti generali. Siccome ero io l'unica fonte di vita presente in casa stamattina dopo le 9 (il cane e la pianta in soggiorno non contano) sono diventata automaticamente il capro espiatorio di tutta la negatività che si è abbattuta su questa casa da una settimana a questa parte. La lampadina della scala per andare in cantina bruciata, mia sorella con l'insonnia, io che dormo troppo, il cane che puzza, mio zio perché è mio zio, la tapparella della cucina rotta. Mentre ascoltavo il fiume di parole sotto il mio piumone coi cuoricini, mi sorprendevo da sola dei miei poteri mentali: pur profondamente addormentata quando è stato compiuto l'attentato ai danni della secolare tapparella della porta-finestra della cucina, sono riuscita a romperla, anzi, peggio, a strappare la corda. Dovevo proprio odiarla quella tapparella.

Fatto sta che sembra impossibile trovare un tapparellista (ebbene sì, esiste anche la categoria "tapparellista") in tempi decenti, di colpo tutti i conoscenti sembrano avere le persiane ai vetri e l'unico che può riparare la tapparella entro domani pare sia quell'ex amico del vicino di casa che ora s'è trasferito nella tundra siberiana. Anche lui ora, giustamente, all'igloo ha messo le persiane però.

Quando la cosa inizia a farsi insostenibile, ovvero quando vengo incolpata anche di aver distrutto il letto nella casa al mare nel lontano 1998, capisco che è ora di levarmi dalle palle. Esco, saluto il cane, arrivo in stazione.

"Avvisiamo i signori viaggiatori che il treno S6 numero 106QUALCOS'ALTRO delle ore 10.11 proveniente da..." dì Pioltello, dì Pioltello "...Novara..." fuck "oggi non è stato effettuato" FUCK. Vabbé prenderò il 10.41, arrivo con un filo di ritardo.

Ah, lo sciopero indetto dal sindacato ORSA, quel sindacato di cui tutti ridono dicendo "tanto è piccolo". Oggi ha deciso di vendicarsi di tutte le prese per il culo degli ultimi 30 anni credo, facendo uno sciopero a cui ha aderito il 100% dei lavoratori. Nessun treno da/per Milano fino alle 17, a meno che non si voglia provare il brivido di saltare su un Torino-Trieste in corsa per far eccitare l'Indiana Jones che è in ognuno di noi.

Ma oggi è venerdì 18: piuttosto che imbarcarmi nell'avventura Indiana Jones e la quest per arrivare a Rho Fiera, preferisco richiamare Madre e chiederle un passaggio per la fermata dell'autobus:
"Mà, non ci sono i treni, c'è sciopero"
"... non ho capito niente"
"C'è sciopero dei treni. Vado in pullman, mi dai uno strappo alla fermata?"
"Non dire stronzate, sciopero dei treni? Vieni a casa che ti porto io"
"è quello che ti ho appena chiesto..."
A quanto pare, cercare un tapparellista provoca nervosismo, interruzione delle capacità celebrali e sordità acuta.

Il tempo di arrivare alla fermata e, ovviamente, il pullman delle 10.38 era appena partito (FUUUUUUUCK). Amen, dai, aspetto una mezz'oretta alla simpatica fermata senza panchine, tanto il libro ce l'ho, il ritardo ormai è appurato, basta mettersi il cuore in pace. Prossimo pullman: 11.08

ore 10.45: litigio tra cani a tipo mezzo metro dalla fermata. Signora, cosa compra un cane di 40kg se lascia andare il guinzaglio appena questo si lancia contro un qualsiasi altro quadrupede?

ore 10.55: comincio a non sentire più le dita dei piedi. Memo: metti stivali, non All Star, Winter is coming, bitch.

ore 11.05: s'è radunata ormai una folla nei pressi della fermata. I piedi non rispondono agli stimoli, peggio ancora, è iniziato un capitolo di Bran. Bran in A Dance with Dragons è letale.

ore 11.10: la folla di prima inizia a sporgersi con insistenza dal marciapiede. Ho perso i piedi e sto iniziando a perdere le dita delle mani. Bran cade nella neve e non giova alla situazione generale.

ore 11.15: magari tra quelli che stanno iniziando a guardarsi in giro nervosamente come se il pullman dovesse apparire all'improvviso dal cielo c'è un tapparellista.

ore 11.20: il pinguino di Happy Feet sta aspettando il pullman per Magenta dall'altra parte della strada.

ore 11.25: mancano 5 pagine alla fine del capitolo di Bran e a me almeno 4 dita della mano sinistra. Al diavolo il pullman, Molino Dorino, al diavolo tutto, torno a casa. In mezz'ora di passeggiata, forse riprendo il controllo del piede destro almeno.


Il rientro a casa è stato meno traumatico e più veloce del solito, fino a quando non sono arrivata in stazione. L'ira funesta s'è manifestata di nuovo in tutto il suo splendore quando un Milano-Torino m'è sfrecciato sopra la testa, gli schermi giravano il dito nella piaga facendo lampeggiare un CANCELLATO in caratteri cubitali per ogni treno e gli addetti della stazione hanno finalmente tagliato i rovi, ma lasciato i rami lì per terra, liberi di girare nel sottopasso.

Ma possibile che uno non riesca a prendere un treno tranquillamente, salgo alle 10.11 e arrivo a destinazione, senza... momento. Momento. I rami non vagano liberamente per strada, non possono, sono rami. C'ho messo almeno 4 metri per capirlo, il tempo di girarmi e uno di quei suddetti rami stava risalendo con me dal sottopasso: ovviamente non era un ramo, ma un serpente di 2 metri, credo, nero e lucido ed educato. Educato perché teneva la destra, non come la sottoscritta che camminava in mezzo alla strada, pronta a essere stirata dal primo ciclista di passaggio.

Ho fatto un pezzo di strada con gli occhi fissi sul serpente che andava per i cazzi suoi, bell'animale, non credo sia molto rappresentativo della fauna locale, ma bello. Talmente bello che non guardavo altro, neanche la strada, neanche il palo che segnala che il sottopasso è pedonale e le bici le devi portare a mano. Questa non la sapevo. Ora lo so, grazie all'incontro ravvicinato della mia tempia contro il suddetto palo. Per una volta non c'era nessuno lì a guardare, neanche il serpente, che nel contempo era finito chissà dove.

è decisamente meglio tornare a dormire. Ah, no, non posso: è la giornata del cambia-i-copriletti.
Venerdì 17 staminchia.