domenica 29 settembre 2013

Quando riusciamo a farcela

Neanche un mese dopo dalla mia quasi infinita trasferta di 9 ore all'aeroporto di Copenhagen ero già di nuovo in un altro aeroporto. A Orio, questa volta, e non più da sola, ma con l'unica amica con cui ho condiviso alcuni dei viaggi estivi più assurdi per ben due anni di seguito: dopo Budapest e Goteborg e una pausa di due anni dovuta ad altri motivi, eccoci di nuovo in partenza, destinazione: Regno Unito.

Non avevamo un piano ben definito, solo una serie di città in cui avevamo prenotato l'ostello e da cui, quindi, saremmo dovute per forza passare. L'aereo atterrava a Manchester e la notte dovevamo passarla a Nottingham.

Le lunghe attese in aeroporto favoriscono la riflessione personale e la valutazione dei futuri compagni di viaggio. Dopo aver arrancato col bagaglio a mano lungo la scala mobile bloccata, ma per fortuna in discesa, e aver esibito con orgoglio la mia carta d'identità con una foto degna di una comparsa in Sorry for party rocking dei LMFAO, eccoci nella sala d'attesa.

Mezz'ora di ritardo, gratis.
Mi accorgo di aver preso i pantaloni troppo stretti che mi stanno facendo un secondo punto vita, mentre Ambra cerca di capire se i dolori generali erano dovuti alla mancanza di sonno, a un'imminente influenza o all'episodio mensile di "Congratulazioni, non sei incinta!"

Poco prima di sederci ci sfreccia davanti un tizio in camicia e chioma fluente.
"A momenti mi investiva" dico, meditando di porre fine alla sofferenza slacciandomi i jeans.
"Vabbé, ma dove va conciato così?"
"Magari ha dimenticato qualcosa"
"Parlo dei capelli sporchi e dei baffi. Dai, i baffi?! Non vanno più da anni, ma neanche Miami Vice".

Solo Tom Selleck se li poteva permettere.
Non sto neanche a considerare Cleveland Brow di The Cleveland Show, dopo aver visto la puntata dove hanno tradotto in italiano I got a feeling dei Black Eyed Peas, quel programma andrebbe rilegato alla peggio fascia notturna dell'ormai scomparso Antenna 3.

Miami Vice continua a sfrecciare su e giù per la hall dell'aeroporto.
Ruba la scena a ogni altro personaggio presente, dalla bambina che raccoglie gli scontrini per mangiarli agli inglesi over 60 che fanno battutine e ridono da soli. E' lì con un amico senza baffi, si sistema la camicia, scuote la testa e non capisco se è tutta una manovra per attirare l'attenzione o è davvero molto sbadato e continua a dimenticarsi roba in giro, costringendolo a corse sulla falsa riga di Pochaontas nei boschi quando canta "Che ne sai tu della lince, che ne sai?".
Sfortunatamente, la saga di Miami Vice finisce presto: si imbarca su un altro volo. Piantona il gate con fare superiore difendendo il suo posto.

A proposito di gate, intorno al nostro inizia ad ammassarsi una piccola folla.
"Penso stia per aprire" dico ad Ambra, ci alziamo e ci avviciniamo.
Dopo qualche minuto mi rendo conto di essere stata vittima della "Legge del branco", una legge non scritta che però spinge i membri annoiati (o persi) di un tale gruppo a fare quello che fanno i membri più dinamici. Ai gate degli aeroporti succede spesso, basta che due si avvicinino al bancone per attirare l'attenzione: se altre persone si alzano e si avvicinano per un qualsivoglia motivo, nel giro di pochi minuti tutti sono in piedi in fila davanti al bancone senza capire perché.
Come se vedere una massa di gente con la valigia spingesse la hostess a iniziare le operazioni d'imbarco in anticipo per liberarsi di quegli sconosciuti che la fissano con aria interrogativa.

Sono questi i momenti in cui capisci che forse era meglio starsene seduti con calma e leggere i tweet deliranti di Amanda Bynes.



Il volo per Manchester dura 2 ore e mezzo e Ryanair ha messo a disposizione sulla tratta uno degli aerei più stretti mai concepiti nella storia dell'aeronautica civile, tanto che persino io, dall'alto del mio 1.60, quasi non riuscivo a starci con i piedi.

Sull'aereo abbiamo fatto conoscenza con un'altro personaggio che ci ha anticipato una caratteristica peculiare degli inglesi: sono sordi.
Che siano auricolari o cuffie, devono renderti partecipe di quello che stanno ascoltando, così ovunque tu sia, in treno, in stazione, per strada, al bar, ti ritrovi accanto una specie di Disco Stu che ha a cuore i tuoi interessi musicali.
Cosa sta ascoltando, non la conosci? Prendi qualche parola e se poi ti piace, butta quello che hai capito su Google.
Il ragazzo sull'aereo a un certo punto ha messo un brano talmente ossessivo, ripetitivo e fracassa timpani che a confronto l'ultimo minuto di Sexy Bitch di David Guetta è persino bello. La versione dell'album, non quella del video dove Guetta si aggira tra una selva di modelle in bikini a fare il pappone.

L'atterraggio a Manchester è stato degno di Lost, dopo aver ripreso colore e calma ci siamo avviate verso il controllo passaporti, che è davvero molto diverso dal controllo passaporti di Malpensa o Orio.
Fila tipo Gardaland, carta d'identità o passaporto alla mano, prima di iniziare a trascrivere i dati l'addetto controlla che la persona nella foto corrisponde a quella che presenta il documento e poi vai.
A Orio apri la carta d'identità e la fai vedere all'addetto senza neanche fermarti come Gardaland sì, ma con un piglio alla: "Scusi, scappo che altrimenti perdo il gommone del Colorado Boat".




A Manchester c'è stato solo il tempo per mangiare e accorgersi che gli inglesi non dimenticano, come gli Stark.
Dopo gli attentati del 2005 a Londra, ma in generale in tutto il Regno Unito, la soglia di attenzione nei luoghi pubblici è piuttosto elevata. Per esempio solo correre con uno zainetto sulle spalle attira l'attenzione di almeno una decina di poliziotti che ti seguono con sguardo torvo (non ho provato di persona, ma Ambra sì, a Buckingham Palace durante il cambio della guardia, un esperimento in grande stile).

Manchester è considerata un possible obiettivo, per scongiurare gli attentati terroristici la stazione ferroviaria è priva di bidoni della spazzatura. E per "priva" intendo che se devi buttare qualcosa in stazione o fermi l'addetto delle pulizie o tieni la spazzatura in tasca. Ho provato a uscire e cercare un cestino, ma sono stata investita da una tempesta subtropicale e sono rientrata immediatamente.


Quando si viaggia in treno c'è un'altra differenza fondamentale, almeno tra Italia e Regno Unito. Qualsiasi cosa si muova sui binari in Italia e ha la funzione di trasporto passeggeri è Trenitalia o Italo, in qualche caso sporadico. Le compagnie ferroviarie britanniche sono moltissime (e un po' te l'aspetti anche dal paese che ha inventato la ferrovia), ma alcune hanno una tratta ben definita.
Prendiamo la CrossCountry (http://www.crosscountrytrains.co.uk/) che opera prevalentemente nelle Midlands. Per arrivare da Manchester a Nottingham obbliga a passare da Birmingham, che è un po' come fare Milano-Torino passando da Genova.

Informarsi prima delle compagnie ferroviarie è troppo intelligente, quindi ci siamo affidate al caso e, per fortuna, c'era un treno diretto tra le due città, quasi 2 ore di viaggio.



Il paesaggio delle Midlands Orientali non è molto diverso dalla zona del Monferrato, colline basse, pascoli, pecore e altri animali lasciati liberi di gironzolare.
Ogni tanto vedo una balla di fieno e ricordo Petur, la nostra guida in Islanda che sembrava la versione isterica di Bruce Dickinson, dare una sberla a uno di quei cosi dicendo: "Anni fa, questi volevano dire ricchezza!".

Arriviamo a Nottingham e riecco apparire i bidoni della spazzatura in stazione.
Scopriamo, con grande sorpresa, anche dell'esistenza di un bus gratuito che fa il giro della città e che arriva quasi fino al nostro ostello. Nottingham è costruita su varie colline, non si impenna di colpo come Trieste, ma ogni tanto ci sono delle specie di zeppe che salgono lentamente e questo rende la presenza del bus gratuito ancora più gradita.

In ostello condividiamo la camera con altre 6 ragazze.

Gli ostelli meritano sempre un capitolo a parte. Sono decisamente più economici degli alberghi, ma sono  un terno al lotto, soprattutto quando si tratta di camerate condivise con sconosciuti. Mi son sempre piaciuti gli ostelli, paghi poco e hai occasione di conoscere un sacco di gente nuova e per (ovvero: intendo studenti con un budget inferiore al salario medio di una babysitter come la sottoscritta).
Le sale comuni degli ostelli sono caotiche, piene di persone che si raccontano dove vanno, cosa fanno, perché hanno scelto di venire in questa città. "E' tuo amico?" "No, l'ho conosciuto 5 minuti fa".
A Barcellona ho almeno una decina di foto con dei ragazzi conosciuti 5 minuti prima dove sembriamo migliori amici in vacanza studio.

Questi posti hanno la capacità di attrarre personaggi davvero surreali che vanno dal canadese gasato venuto in Europa per festeggiare (Interlaken), polacchi che giocano a carte con David Guetta a palla alle 3 del mattino (Budapest), il francese che tenta di svegliarti per fare sesso (Barcellona) o l'americana che urla su Skype con la madre per delle ore (Reykjavik).


Poi però sono arrivati gli smartphone.

E le sale comune degli ostelli sono diventate più o meno così:




Con l'aggiunta di qualche Disco Stu.


Appena entriamo nella nostra stanza c'è un pentolino là, in mezzo al pavimento.
Rito pagano, ospite disordinata o monito? Non voglio distruggere la composizione Feng shui di qualcun'altra, quindi lascio il pentolino dov'è.

Una delle ragazze è impegnata al pc, un'altra si pettina, gli altri letti sono vuoti.
Sembra nessuna si sia accorta del cambiamento di latitudine tra il corridoio (clima temperato umido) e la stanza (clima artico), forse anche la finestra spalancata fa parte del sistema di Feng shui. Il ricambio d'aria è sempre benvenuto in una camera affollata, ma quando è un orso polare quello che sta cercando di entrare è decisamente troppo.

Approfittando successivamente dell'uscita delle altre ospiti, abbiamo scoperto come in realtà chiudere la finestra è un rebus da ultime pagine della Settimana Enigmistica. Semplicemente le altre non hanno chiuso la finestra perché non capivano come si chiudeva. E non è stato facile, ma alla fine la missione è stata compiuta senza fare morti o danneggiare l'arredamento.

Quando si viaggia all'estero c'è sempre un'altra grande sfida, oltre agli arredamenti e alle docce col sistema di risparmio dell'acqua: i nomi.
"Se il ragazzo della reception era francese" dico, mentre mi arrampicavo sul letto a castello: "Come fa a non capire Valeria? Non è molto diverso da Valery o Valérie, c'è anche la canzone".
La palma d'oro alla storpiatura però va alla signora che mi ospitava ad Amburgo, convinta che il mio nome fosse Valeena, il secondo posto la signora islandese con Valgerður, sono sempre suggerimenti per cambiare identità o trovare la bottiglietta di Coca Cola con scritto il nome giusto.

E' lì che Ambra si affaccia dal letto di sotto con espressione rassegnata:
"Almeno il tuo nome è incomprensibile, ma non imbarazzante. Nel senso, quando io mi presento a un inglese loro capiscono sono reggiseno"

"Cosa?"
"Eh, Am bra. Hi, I am Bra"

"Non ci avevo mai pensato"
"Ora lo sai"
"Sei tipo la figlia di Vegeta, mica si chiamava Bra anche lei? Magari hanno trascritto male e si chiamava anche lei Ambra"

Evito una cuscinata sul naso.

E' il momento di girare per la città. Questo:



scatena un loop incontrollabile di trash anni 80 che fa sempre bene.

A un certo punto, in piazza, appena davanti all'edificio del comune, ho un'illuminazione
Young man, there's no need to feel down
"Ma..." 
...I said young man...
"Dimmi"

...pick yourself off the ground, I said...
"Sento che c'è un particolare di Notthingam che continua a sfuggirmi" 
...young man!
"Come? Guarda il tizio con lo skate, lo faccio io e cado dalle scale"
...cos you're in a new town
"Che ho una canzone che mi rimbomba in testa e non riesco a collegare, ma non saprei"
...there's no need to be unhappy, young man!
"Non nominarla"
...there's a place you can... you can...oddio, come va avanti? You can... come? No, you can GO!

In questo mezzo secondo di incertezza le sinapsi si collegano.
Distolgo lo sguardo dai tizi in skateboard, guardo Ambra ignorando il flusso dei pensieri che ora è quasi al ritornello.
"Ma Notthingham non è mica la città di Robin Hood?"



Meglio tardi che mai.





ziip.
...
ziiiiiiup. 


ziiiiiiiip.
...
ziiiiup.

E' ancora buio fuori.

ziiiiiiip
ziiiiiiiiiiup.

Accendo il telefono, 06:12

ziiiip. Bonk. Rumore di sacchetti accartocciati.
Mi affaccio da sotto al piumone. Ziiiiup.

La ragazza spagnola del letto davanti apre e chiude le cerniere della valigia. Apre ziiiiiiiip e chiude ziiiiiiiup, apre e chiude con quello che deve essere uno dei rumori dei primi gironi infernali.
"Devo mettere la sveglia alle 02:00, è un problema?" chiesi alla receptionist dell'ostello a Reykjavik che mi rispose con una scrollata di spalle e un "It's a hostel".
10 minuti e 20 cerniere per mettere via un pentolino.


Alle 9.30 ho già superato la coda dei bagni e sono pronta davanti all'ufficio della reception per ufficializzare il check out, mentre Ambra è di sopra in attesa che si liberi un lavandino.
La porta dell'ufficio si apre e il proprietario, una specie di versione meno pompata, più gay e decisamente francese di Jena Plissken esce in accappatoio e va verso i bagni.

L'attesa sarà lunga, dato che gli unici tre presenti nella sala comune sono un coreano, un belga e un'olandese con la faccia fissa sugli schermi dei loro pc. Scambio qualche parola con la ragazza, il belga parla olandese e mi spiega che è a Nottingham per un programma di master, ma non trova la casa. La ragazza è qui solo per partecipare alle feste studentesche (e chiamala scema), mi dice di avere già abbordato un tedesco che è in camera con lei.
Il coreano, annoiato da tutta quella interazione dal vivo, si dilegua.

Verso le 10 scende Ambra, appoggia la giacca sul divano e mi guarda:
"Sono italiani?"
"No"
Butta la borsa sul divano:
"Oh, ma quanto sono maleducati i cinesi?"
"Cinesi?"
"O coreana o checazzoneso. Non era in camera da noi, esce dopo aver fatto la doccia e lascia in bagno 3 dita d'acqua ovunque. Ti dico, navigava anche il tappeto, ha lasciato capelli ovunque. Volevo farmi la doccia, ma ora che asciugavo tutta la laguna facevamo mezzogiorno. Questa prende bella bella e se ne va".
"Dai, la fai stasera"
"Sì, ma non è tutto!" prende il mascara e si avvicina al micro-specchio della sala comune: "Hai presente il tizio della reception?"
Jena dei poveri "Eh, sì, è uscito prima in accappatoio".
"Ecco, io sono in bagno con la porta aperta, tanto mi lavo i denti e basta. Esco dal bagno e me lo trovo lì con la faccia perplessa che guarda l'acqua scorrere in corridoio. Lo guardo e gli dico: "Scusa, ma non sono stata io a fare tutto sto casino, ho il check out tra neanche mezz'ora, non ho tempo di sistemare i cinesi che giocano alla laguna di Grado" e me ne vado".

La guardo aspettandomi una reazione da parte di Jena.
"Non moppo a casa mia, ti pare che mi metto a moppare la merda di un'altra?"
"E lui?"
"Ha preso il mocho e ha iniziato a moppare".

Facciamo il checkout alle 10.30 con i saluti e i ringraziamenti di Jena.



Ci fermiamo a far colazione vicino al municipio. Ci sono 7 soli, ma l'aria è fredda e le nuvole sono in agguato. Mentre lei rimane al bar, io vado a cercare la cartolina da aggiungere alla mia collezione.
Gli inglesi amano moltissimo le card, quelle che noi usiamo come biglietti di compleanno, loro ne hanno a centinaia per oggi occasione, anche i funerali. Il risultato è che le cartoline sono tra le cose delle pacchianate indecenti, peggio anche di quelle delle città più sperdute della Svizzera: foto con gente in shorts davanti, scorci di città che non vogliono dire nulla, scritte in Comic Sans blu elettrico sulla facciata del castello.

La selezione della meno peggio dura una decina di minuti, mi fermo a fare qualche foto di una via laterale con il monumento di Brian Clough (Il maledetto United, libro e film consigliatissimi se amate il calcio o il cinema inglese) e rientro al bar.

Ambra, con un'espressione terrorizzata, incrocia il mio sguardo.
"Non trovo il cellulare"
"Ti chiamo"
"No, non lo sento in borsa. Devo tornare all'ostello"
"Sì, ti aspetto qua, col pullman tra andata e ritorno ci metti venti minuti a dir tanto".


Quasi 2 ore dopo diluviava e di lei non avevo ancora notizie.

sabato 14 settembre 2013

Oggi, bambini, vi racconto un segreto

Qualche mese fa ho raggiunto il confine massimo del perdere tempo e sono finita su un sito che non avevo mai visto prima: Insegreto (www.insegreto.it)

La filosofia di base è semplice: scrivi la tua età, se sei uomo o donna e poi un segreto che non hai mai voluto dire a nessuno, un modo per togliersi un peso dalla coscienza in modo del tutto anonimo, una versione online di "tiro il sasso e nascondo la mano" che piace sempre. Se poi aprissero un sito come Iocritico alé, ci fai un successone.

Il problema di base di Insegreto è l'essere uno dei siti preferiti della fascia d'età 11-19 anni. Se gli interessi di quella fascia d'età su Twitter variano da One Direction a One Direction, su Insegeto è la gara a spararla più grossa.
Almeno, spero con tutto il cuore che la maggior parte dei segreti scritti lì siano balle colossali, altrimenti ci sarebbe da rivalutare l'eugenetica.

Lo spaccato che mi offre quel sito in ogni momento che lo visito è agghiacciante. Cugini che scopano cugini, fratelli che scopano sorelle (e viceversa), ragazze che si masturbano con lo spazzolino elettrico del fratello/sorella o la spazzola di qualcun altro, gente inorridita che trova preservativi frugando nelle borse altrui, figli gay di genitori omofobi che se la fanno con il fratello altrettanto gay della fidanzata e poi i miei preferiti: quelli dalla storia strappalacrime scritta apposta per suscitare tristezza e raccogliere compassione.
Sono tutte sensazioni che l'adolescente medio, da anni a questa parte, prova. Adesso l'avere una connessione a internet ti legittima a scrivere e condividere col mondo queste stronzate.

Nessuno a 15 anni si è mai sentito con l'autostima sotto i piedi, nessuno ha mai sofferto un po' la competizione col fratello/sorella maggiore. Dai questi ingredienti a una ragazzina di 15 anni con accesso a internet ed ecco il risultato:



Perché ovvio che io, utente anonimo, dopo aver letto questa cosa, piango lacrime calde, insulto il fratello, schiocco le dita e puff, la ragazza che ha scritto questo segreto di trasforma in Jennifer Lawrence e il fratello diventa Gollum.
Questo segreto puzza di storia falsa dall'incipit alla conclusione a sorpresa. Sembra il riassunto da terza pagina di un romanzo adolescenziale, Il suo segreto sono io, la tensione coinvolge il lettore ("Il segreto di cui voglio parlare non è il mio") in foresta pluviale di punti senza maiuscole che urla: "So usare solo il punto!" o "Amo Alessandro Baricco!", in entrambi i casi si salvi chi può.

Mi sembra un'idea elementare che se hai problemi, sei insicura e vuoi sfogarti l'ultima cosa a cui devi rivolgerti per avere un po' di compassione è un sito in anonimato pieno di gente che di solito ci passa la pausa pranzo. Però, bon, l'importante è attirare l'attenzione.





Che potrebbe essere anche molto commovente, se non fosse che:


E:

("Ragazzo con culo perfetto e pacco enorme", ma lo stronzo in cerca di figa era lui, no?)

Inoltre:

"Mamma, ci racconti ancora di come hai conosciuto papà senza usare le parole "cesso" e "sbronza"?

Quando quelli di Harmony rifiutano una storia, l'autore di solito la sbatte su Insegreto.
Se volete sapere quante fratture s'è beccato il tizio caduto dal motorino,da dove abbia tirato fuori la mela la tizia della terza storia o quanto durerà la storia con "Il primo che passò sotto gli occhi" dovete scrivere ad Harmony e dire di far pubblicare il libro.



Gustave Flaubert è tornato e ci regala in anteprima un assaggio del suo prossimo romanzo su Insegreto.



Chiudo però con un segreto medio del sito

Bla bla bla so di sembrare più grande bla bla bla mi masturbo in cam coi ventenni.

La protagonista della storia solleva una questione che avevo già notato da qualche mese. "Sei più matura delle tue coetanee" è il nuovo "Sei bellissima".

Non perché di colpo ci siamo accorti che è meglio puntare sul carattere che sull'aspetto, il carattere resta, la bellezza no, bla bla, il motivo è un altro. La gran parte degli adolescenti di oggi ha minimo un profilo su Facebook e uno su Twitter, molti anche su Instagram e altri social network. Ora, se passi la giornata a postare foto di te stesso/a e raccogliere commenti come "Ciao, sei bellissima, ciao" o "La mia amo è una gnoccona!", scritti da altrettanti adolescenti che pubblicano foto studiate, ritoccate e illuminate come neanche un quadro di Botticelli... che peso ti fa un estraneo che ti dice "Sei bellissima"?
Nessuno, hai 2 album su Facebook e 40 foto su Instagram che te lo dicono. E anche quando osi dire "Sono bruttissima" vieni subito investita da persone che rispondono "No, non dirlo neanche per scherzo!"
Quindi ovvio che sei bella, bella in modo assurdo.



Che poi fai espressioni studiate, hai un faro puntato sulla faccia che pare stai per ascendere al cielo e la gente non ti riconosce per strada perché su Facebook sembri Beyoncé, ma non importa.

Appurato il fatto di essere bellissimi, ora si punta all'originalità del carattere.
Quale miglior complimento quindi di: "Sei più matura delle tue coetanee"? In un colpo solo elevi la destinataria del commento al di sopra di quella massa di "altre" e di quella serie di stereotipi sull'età. "Io non sono la classica adolescente, io sono superiore alle altre. So di esserlo, ragiono in un altro modo. Io sono diversa".
E questo non te lo possono confermare le amiche su Facebook.

La ragazza qui sopra è così matura da essere caduta nella versione moderna dello sconosciuto che ti si avvicina per strada quando hai 8 anni offrendoti le caramelle: "Ma in macchina ne ho altre!"


E ancora non mi è chiaro il passaggio del "masturbarci a vicenda" via chat, ok che la tecnologia ha fatto passi da gigante e c'è pure il touch screen, però con calma eh.

giovedì 5 settembre 2013

Parto da un presupposto, ma è sbagliato

Stamattina è morto il caricabatterie del portatile.


Dopo qualche giorno di agonia sfruttando le tecniche di rianimazione imparate grazie ad anni di litigate con auricolari scadenti che si rompevano dopo un paio di giorni, chiunque sa che se giri il filo in un certo modo o tieni premuto un punto il sistema funziona comunque. Ma è un trucco che dura 3, 4 giorni, almeno fino a quando il cavo in questione spira definitivamente o non ne puoi più di assumere la posizione della mezza luna per ascoltare la musica o caricare la batteria del pc.

L'equazione in questi casi è semplice:
prendi atto della dipartita del caricabatterie -> prendi atto di dover sborsare x euro -> vai al negozio di elettronica più vicino.

Io e la tecnologia non andiamo d'accordo, quindi questo non mi aiuterà nell'interazione con il commesso che, molto probabilmente (spero per lui), sa tutto. E spero sia anche abituato ad avere a che fare con clienti che non sanno esprimersi.

Il negozio di elettronica nel centro commerciale è il più grande insieme al supermercato, il reparto di computer è in fondo. Supero videogiochi, dvd, telefonia, libri e intercetto subito un commesso libero che, già di per sé, è un evento.
"Buongiorno, mi si è rotto il caricabatterie del portatile: nel senso, la batteria si accende ancora, credo sia un problema di collegamento tra batteria e pc".

Lui mi squadra dalla testa ai piedi.
Se lavori fisso nel reparto computer hai a che fare con vagonate di gente che vogliono acquistare pc portatili, accessori per pc, tablet di solito senza aver ben chiaro cosa vogliono, quindi devi indirizzarli. Se lavori da molto tempo in quel campo poi capisci a colpo d'occhio chi di questi argomenti capisce qualcosa, chi va per sentito dire e chi non capisce proprio un cavolo. Io faccio parte della terza categoria, lo capisce subito perché mi presento, da genia, senza il caricabatterie vecchio.

"E' un Acer" dico. Mi guarda con l'espressione di un cuoco a cui hanno appena detto "Il rosso è l'albume dell'uovo". Assume il tono della maestra d'asilo che parla col bambino di 6 anni, quelli abbastanza grandicelli, ma che ancora non ci stanno di testa.
"E' una questione di voltaggio, non di marca. Ti do... questo, è quello che vendiamo di più, per esclusione dovrebbe funzionare".



Torno a casa col nuovo caricabatterie.
Ha un regolatore di voltaggio tra la batteria e la connessione al pc: leggo le istruzioni che spiegano come capire il voltaggio necessario, 19 dice il retro del portatile, 19 è presente sul regolatore.

Il regolatore può essere girato solo con una chiave o un cacciavite. E vabbè, cacciavite, distruggi la freccetta al centro (che da freccetta diventa una fessurina indefinita), punta 19, collega alla presa, collega al pc...

... nessun segno di vita.



Ricomincio: voltaggio corretto, cavo per la connessione a pc Acer corretto, presa inserita, corrente inserita, ma ancora nessun segno di vita. Dopo 5 minuti di tentativi il pc mi segnala che ha ancora 20 minuti di autonomia.


Torno al centro commerciale, supero una coppia che discute di macchine fotografiche, un bambino che stava provando un videogioco in mezzo al corridoio e intercetto di nuovo il commesso. Appena mi vede la sua espressione trasmette derisione, tradotto: "Come diavolo fai a non saper far funzionare un semplicissimo caricabatterie?"

Gli spiego la dinamica, ma sembra impegnato a deridermi tra sé e sé. Ne ho la conferma quando chiede:
"Ma la batteria si accende?"
"Sì"
"Quindi la corrente era attaccata?"
No, di solito alimento il pc a lume di candela: "Sì"
"E la presa funziona? Hai provato a cambiarla?"
"Ne ho provate 3 diverse"
"Ah..."

Gli mostro il caricabatterie vecchio e gli dico, da profana, che su quello non c'è il regolatore manuale di voltaggio.
"E' il modello automatico quello, ma non ne ho più" riecco il tono da maestra di asilo: "Il voltaggio è giusto?"
"Sì, ho controllato come dicevano le istruzioni. 19"
"E l'hai messo su 19?"


Sono d'accordo, non do l'impressione di una che capisce tutto di computer e tecnologia in senso lato.
Ciò non toglie che i libretti di istruzione riesca a leggerli e metterli in pratica da sola e che non vado a rompere le scatole a un commesso per un problema alla cui soluzione può arrivare anche un bambino in età prescolare se qualcuno gli legge le istruzioni.

Questo povero commesso m'ha vista come una delle centinaia ochette che frequentano i negozi di tecnologia con la stessa preparazione cui Paris Hilton frequenta una biblioteca. E magari ce ne sono anche molte, ma allora evita di farmi parlare 5 minuti sui problemi che ho riscontrato per poi chiedermi se avevo capito, dopo aver letto 19, che il 19 andava anche sul regolatore.

"Sì, ho messo 19"
"Mh. Sicura che sia il voltaggio giusto? Il 19, dico... sai, è il numero del voltaggio"


Le donne non capiscono nulla di tecnologia e non sanno guidare.
Sono affermazioni che hanno un fondo di verità, ma non sono verità assolute, ci puoi ridere al bar una sera o in pausa pranzo quando hai appena assistito a un tamponamento e concludi con "Sarà stata una donna".
In 5 anni di guida ho visto donne e uomini tagliare strade, ignorare l'uso delle frecce (ma non del clacson), piallarsi in mezzo alla strada con le quattro frecce, non capire come funzionano le doppie corsie delle rotonde e via così. L'essere imbecille non è una questione di sesso, è che se devi andare a destra e inchiodi di colpo senza mettere la freccia, che tu sia uomo o donna, sei imbecille (e se quello dietro ti stava a 2cm allora sei un imbecille col culo sfondato).


Da questa discussione col commesso non guadagno nulla se non: "Provaci ancora. Se hai ancora problemi torna col pc" tradotto: "Provaci ancora, non è difficile, non farti dare della cogliona davanti a tutto il negozio".

Torno a casa, riprovo tutto da capo con la consapevolezza che o scendeva la Fata Turchina con la bacchetta magica o sarei dovuta tornare là ad affrontare Mr "Ma hai messo la presa?".

La Fata non s'è vista e il pc ha lanciato l'allarme "Ancora 8 minuti di autonomia!"



Quando il commesso m'ha vista arrivare col pc in braccio stava sistemando delle scatolette vuote. Le ha appoggiate e ha assunto movenze ed espressione di chi sta per affrontare una sfida dalla soluzione semplicissima che ha capito solo lui.
Come l'uomo della sicurezza si è avvicinato alla signora che anni fa urlava nel parcheggio dell'Esselunga "MI HANNO RUBATO LA MACCHINA!!!" dopo averla vista parcheggiare nell'area verde e non in quella blu. "Signora, è un'Audi rossa con targa Novara?" "...sì" "Guardi che è nell'altra area".

Mirava a farmi assumere la stessa espressione della signora dopo che le era stato rivelato l'errore, quando poi si è sentita in dovere di scusarsi con la decina di persone che le si era radunata intorno. Mirava a sottolineare il suo ruolo di uomo alfa nel reparto tecnologia, prende il pc in modo plateale, controlla le impostazioni del caricabatterie, chiacchierando col collega di "Persone non abituate ad avere al che fare col pc", inserisce la presa...

...nessun segnale di vita.

Il maschio alfa è perplesso. Ricontrolla le impostazioni.
Niente.
Cambia presa.
Niente.
Controlla le impostazioni, cambia presa, controlla il voltaggio.
Niente.

Osservavo la scena appoggiata al bancone come il Drugo nel Grande Lebowski guarda Walter che fa il discorso sull'illegalità di tenere un roditore anfibio in casa.



"Sarà difettoso l'apparecchio" dice perplesso.
Ah. Quando io dicevo che non funzionava dovevo ricollegare la presa, non sai farlo funzionare tu è colpa del caricabatterie.

Si allontana, ne prende un altro, lo prova. Tocca la batteria. Non funziona neanche quello.
Alza le spalle: "Penso sia un problema del pc, il caricabatterie è caldo" dice guardandomi con l'aria di chi ha capito tutto.

"Non è solo un problema di cavo?"
"No, no, non credo sia statisticamente possibile provare due caricabatterie difettosi"
"O anche della parte di collegamento al pc. Vede lo spinotto di quello vecchio è un po' storto."
"No, no" si sa che più ti ripeti una cosa più diventa automaticamente vera: "Il problema qui è del pc. Portalo in riparazione, anche se dubito si possa cambiare solo quel pezzo, conviene prenderne uno nuovo."
"...avete degli Acer in vendita?"
"Dei portatili?"
No, dei microonde. "Sì"

Mi indica uno scaffale. Prendo il mio portatile che sta esalando ormai gli ultimi respiri, stacco il cavo di alimentazione a un pc Acer a caso esposto e lo collego al mio.

TIC. Batteria in carica.

"Non è un problema di computer, è un problema di collegamento al computer" dico.
Il commesso era ancora in mezzo al corridoio.



"Aspetta che parlo con gli altri clienti".
Segue una mezz'ora abbondante in cui segue un ragazzino che aveva sbagliato reparto, una signora che voleva fare un regalo di compleanno, un collega capitato per caso, un magazziniere che aveva voglia di chiacchierare, una ragazza che non sapeva decidere se al suo tablet stava meglio la cover rosa o quella verde.

Finite le distrazioni possibili o si metteva a guardare il video di Lady Gaga in loop al reparto televisioni o affrontava il mistero del computer e del caricabatterie.
"Ehm... è che... non mi è mai capitata una cosa simile". Fruga nei cassetti, sposta le carte e trova una scatoletta di quei pezzi di ricambio: "In realtà non si vendono sciolti" mi dice, cercando quella giusta: "Ma queste sono tutte quelle avanzate in giro. Non sono difettose, eh!"

No, tranquillo, anche io colleziono pezzi di pc che trovo in giro. Li ho tutti in esposizione tra il legno temperato dalle matite e i mattoni che trovo nei parchi.

Trova quella giusta, la collega al caricabatterie vecchio, funziona e mi riconsegna il pc sorridendo.
"Quindi... ora che faccio del caricabatteria nuovo che non mi serve? Visto che non è neanche difettoso..."
"In teoria dovresti comprarne un altro"
"Ma l'ho già preso!"
"No, uno che contenga il pezzo che ti serve"

...scusa?!

"Mi ha fatto fare avanti e indietro 3 volte, mi stava mandando dal tecnico a spendere l'ira di Cristo perché secondo lei il computer era rotto"
"Eh, sai, è stata come dire... una giornata pesante"
"Lo so, infatti mi ha anche chiesto 6 volte se avevo collegato la presa come se fossi uno zulu"
"Eh, sì, che boh... di solito... di solito son cose che non si vedono tutti i giorni..."

"Cose che non si vedono tutti i giorni" sono, per esempio, un pc che inizia a produrre popcorn quando ti colleghi a Youtube o che si chiude di scatto da solo quando cerchi di usare Explorer.




Dopo una rapida trattativa, sono uscita dal negozio col pc funzionante e un buono da spendere pari al prezzo del caricabatterie restituito.

mercoledì 4 settembre 2013

A Copenhagen ho scoperto la bubblegum dance

Come Eurovision ci ricorda ogni anno, l'Europa pullula di musica e band meritevoli, come pullula di trashate assurde che possono eguagliare Sabrina Salerno ai tempi di Boys. Anche l'Italia ha avuto la sua bella dose di eurotrash, esplosa intorno agli anni Ottanta, per poi placarsi intorno ai Novanta e diluirsi in quella marea di novità (e amenità) musicali che hanno concluso il secolo.

Il nord Europa in quanto a eurotrash non scherza.
Non importa se nel 2011 ha vinto un norvegese, nel 2012 uno svedese e nel 2013 una danese (con gli islandesi sempre classificati per le semifinali), le recenti vittorie non possono mascherare una storia musicale costellata di band così trash da superare i confini nazionali quando ancora Internet era un lontano miraggio. Adesso guardiamo a est per trovare la musica di cui ridere (vedi PSY), ma prima bastava guardare a nord.
Ma spesso io non ricollegavo il paese alla band, ascoltavo e basta, canticchiavo e non capivo. Per questo non era un problema cantare ad alta voce quando passava su MTV Boom, boom, boom dei Vengaboys (olandesi).

Nel tornare a casa settimana scorsa ho toccato tutti gli stati della Scandinavia (tranne la Norvegia) e, musicalmente parlando, ecco un veloce resoconto dell'eurotrash nordeuropeo maturato durante le 9 ore di scalo all'aeroporto di Copenhagen.




DANIMARCA


Era il 1997, avevo 7 anni, e quell'anno non c'era una persona che non conoscesse Barbie Girl.
Non capivo niente di quello che diceva, ma mi sembrava abbastanza orecchiabile da cantare a squarciagola ovunque per gioia dei miei.

Qualche mese dopo è seguito un album intero di canzoni di questa ragazza con la vocetta acuta e del pelato col vocione che la interrompeva per dire una frasetta. Video divertenti con le bambole, i pirati (My oh my), gli esploratori (Doctor Jones), alieni (Lollipop) e poi qualche pezzo "serio" a dimostrazione che, in fondo in fondo, questo gruppo di Copenhagen non era formato da cazzoni che facevano facce buffe e si vestivano in modo strano. Roses are red e Turn back time (inserita anche nel film Sliding Doors, tutt'altro che comico) sono riuscite nell'intento. 

Anni dopo, nella smania di catalogare tutto, questo genere musicale ha preso il nome di bubblegum dance, sottogenere dell'eurodance, che guarda caso ha origine proprio in Danimarca. I requisiti di questo genere sono testi scherzosi, infantili con alternanza di una voce femminile quasi da bambina e una maschile più bassa. Nei suoi 44 minuti Aquarium è il manifesto di questo genere e gli Aqua ne sono i rappresentati più riusciti.

Tre anni dopo gli anni d'oro dell'eurodance erano al tramonto e gli Aqua hanno deciso di approfittarne per svoltare verso qualcosa di più maturo: pubblicano Aquarius
Bell'album, ma il pubblico che si aspettava un'altra vagonata di canzoni sceme rimane a bocca asciutta e deluso (così come con Gentleman di PSY "Ma non è divertente come quella prima" o il passaggio di Miley Cyrus da Best of both worlds a We can't stop). Dato che, come al solito, ignorare l'album era troppo difficile, il gruppo è stato subissato di "MA NOI VOLEVAMO BARBIE GIRL!" o "VOGLIAMO I VECCHI AQUA". Ma alla fine non puoi basare l'intera carriera a cantare vestito da pirata, così il gruppo raccoglie la sua fama mondiale, qualche complimento per la maturità del nuovo album e si scioglie.

Tutti e quattro i componenti si buttano nella carriera solista, ma l'unica che riesce a uscire dai confini scandinavi è la cantante, Lene, che per togliersi l'immagine di idolo dei bambini si reinventa in una carrellata di ruoli diversi (segretaria porca, infermiera porca, ballerina porca, ballerina porca in latex) in un video di 3 minuti:



It's your duty (to shake that booty) se la ricordano tutti solo perché c'è la tizia di Barbie Girl che fa la mignotta. Poi il silenzio.

Gli Aqua son tornati insieme (pare), il terzo album non se l'è cagato nessuno e ora Barbie Girl la suonano ancora in qualche revival anni Novanta, nelle discoteche al porto di Trieste, in Olanda, in Giappone e al duty free dell'aeroporto di Copenhagen.



Altro prodotto della bubbelgum dance danese sono stati i Cartoons. Che erano vestiti peggio degli Aqua, ma tutti erano troppo impegnati a cantare Barbie Girl per ricordarseli.



PAESI BASSI

So che non è Scandinavia, ma già che si parla di eurodance e bubblegum dance non posso non includere loro:



Nel 1999 3 brani si litigavano la scena nelle classifiche serali: Blue degli Eiffel 65, Maria dei Blondie riemersi freschi dalla naftalina e Boom, boom, boom! dei Vengaboys. 

Per qualche strano motivo, questa canzone era uscita un anno prima, ma non se l'era filata nessuno. Complice il testo e la melodia orecchiabile s'è diffusa tanto quanto Barbie Girl e sfido chiunque a dire di non averla mai cantata. Il video poi era uno dei più espliciti in circolazione all'epoca con spogliarelliste, ballerine in topless, nightclub. Una vetrina su come il turista medio immagina Amsterdam e come effettivamente è Amsterdam, se ridotta a quella manciata di 3,4 viuzze della città vecchia.

C'è una differenza enorme però tra Barbie Girl Boom, boom, boom: la prima, riascoltata 10 anni dopo, fa ancora ridere e fa venir voglia di cantarla, la seconda ti fa venire l'amaro in bocca. E' lo stesso effetto di quando da bambino non vedevi l'ora della puntata di Giochi senza frontiere, poi quando ne rivedi un episodio anni dopo dici "Occristo. Occristo". Ecco.
Boom boom boom è una di quelle canzoni per cui se vuoi avere un bel ricordo non devi ascoltarla a distanza di tempo. Neanche nella versione presentata al Festivalbar.

I Vengaboys nascono dall'equazione puramente olandese estate=Ibiza=divertimento. Solo a Ibiza puoi divertirti, nel resto del mondo puoi, ma non come a Ibiza. Niente è come Ibiza.
E il gruppo è un prodotto totalmente olandese, hanno tutto: Ibiza, integrazione (tutti i membri provengono da nazioni diverse), stampo eurodance pura degli anni Novanta (e in una nazione che tuttora butta Spice Girls e Oasis nelle serate ha un certo peso). Io penso che non ci sia mai stata una band più vicina alla dream band olandese come i Vengaboys.
Sì, ok, mancano canzoni decenti, ma era il 1998.

Un'ulteriore conferma che gli Aqua sono stati i sovrani assoluti della scena è che i Vengaboys dopo questa canzone sono scomparsi. Qualcuno si ricorderà We're going to Ibiza, i più fortunati anche Shalala La. Io, personalmente, oltre a Boom boom boom non vado.

Solita solfa: il gruppo è stato inghiottito in un buco nero intorno all'anno 2000 ed è riemerso senza che nessuno lo chiedesse qualche anno dopo, arrancando nel tentativo di uscire dai confini nazionali. 
Avete mai sentito Hot, hot, hot quest'anno? Se la risposta è no, vuol dire che non sono ancora usciti dal dimenticatoio.

Su youtube tempo fa girava un video in cui si vedeva il tizio che faceva il cowboy lavorare come stewart su un volo di linea.



SVEZIA




E chi se li scorda?

Il ricordo musicale che l'Europa aveva della Svezia erano gli ABBA e, di botto, nel 2000 si ritrova due nuovi gruppi che passano tipo tornado sulla scena continentale. Quelli seri, i The Ark (non credo basti una vita per scordarsi It takes a fool to remain sane) e poi quelli scemi, gli Alcazar.

Mentre la bubblegum dance era ormai tramontata, Barbie Girl rimaneva sulla bocca di tutti e in Europa si scatenava la corsa per diventare la band più idiota, questo trittico di personaggi avvolti nella carta stagnola sbaraglia tutti rispolverando una vecchia cover del 1979 ed eleggendola a tormentone assoluto del 2001 da 2 milioni e mezzo di copie vendute.

Apparizione al Festivalbar, 200 remix, uno dei video più strambi di quegli anni, gli Alcazar hanno capito che se non riesci a fare successo con un lavoro tuo, basta pescare nell'ignoto del panorama musicale e lavorarci. La stessa logica applicata da Haiducii con Dragonstea din tei, che non includo qui perché sennò devo addentrarmi nel peggio prodotto anche nell'est Europa: comunque sì, anche Dragonstea din tei è una cover. L'originale è una versione più finocchia del tizio che si aggira in una stanza d'albergo con una bionda che lo guarda.

Gli Alcazar fanno già parte di quella generazione Europop presa più sul serio, nonostante nel loro video d'esordio siano avvolti nel Domopak. Non so il motivo, davvero, non so perché gli Aqua sono stati presi per cazzoni patentati e agli Alcazar è stato perdonato il fatto che hanno smesso di fare i cazzoni già al singolo successivo.
Forse il periodo era diverso, forse Barbie Girl aveva iniziato un po' a rompere il cazzo ed era meglio non incentivare altre uscite simili, ma gli Alcazar già nel 2002 fanno intuire il nuovo corso degli eventi con Sexual Guarantee (un'altra cover): cazzoni, ma non troppo, divertenti, ma non troppo, abbastanza dance da far rimpiangere gli anni Novanta senza sfondare timpani con vocine acute e testi idioti.
La parte strana del successo di questo gruppo (che poi si è sciolto, riunito e sciolto di nuovo) è che i suoi più grandi successi sono cover di vecchie canzoni, tranne Ménage à trois (2003).

Poi di loro ho perso le tracce.



La mia gita in Svezia è stata ridotta a un pomeriggio in giro a Malmö e non posso non citare uno dei prodotti d'esportazione più di successo della città insieme a Ibrahimovic:



Credo che l'unico modo per capire e spiegare Gunther (ex modello e dal 2006 anche cantante) sia farsi un giro su youtube e vedersi la sua discografia. Ha quasi rappresentato la Svezia a Eurovision qualche anno fa, ma purtroppo il voto da casa è implacabile.

Ce ne accorgiamo anche quando la corona di miglior artista dell'estate 2013 è in ballottaggio tra Justin Bieber e One Direction.



ISLANDA

Nell'immaginario europeo, gli islandesi sono quella popolazione stramba che vive nel nord, mangiano carne di squalo putrefatta e a maggio buttano cocacola e mentos nei vulcani (2010 Eyjafjallajökull e 2011 Grimsvötn).

La scena musicale islandese invece è molto vivace, basta pensare che ha un numero esorbitante di musicisti se comparato al numero di abitanti. Nonostante questo non sono riuscita a trovare un artista o una band che eguagliasse quelle precedentemente citate sulla scala del trash. In senso lato, ma solo per questione di estetica, ci metterei Björk.



Che bon, 3/4 dei suoi video e delle sue apparizioni pubbliche devi vederle almeno due volte prima di provare a capirci qualcosa. E' davvero molto brava, ma non puoi rinchiuderla in un genere specifico.
Anni Novanta, anni Duemila nulla la spaventa e Björk continua per la sua strada come il prodotto di esportazione musicale islandese più famoso del mondo.

Poi in questi ultimi anni hanno iniziato a farsi spazio anche i Sigur Rós, attivi dal 1994, ma arrivati timidamente sul continente forse perché cantano in islandese e, ammettiamolo, non è la lingua più parlata e conosciuta al mondo. Prendete Colors of the wind di Pocahontas in islandese e a momenti non distinguete il GROWL dell'orso che esce dalla tana dalla voce di lei.

Sigur Rós in Islanda sono eroi nazionali e uno dei brani rimasti più impressi è di sicuro Hoppipolla (Saltare nelle pozzanghere) dall'album Takk... (Grazie): la BBC si era innamorata di questo brano e lo riproponeva in continuazione, soprattutto in ambito sportivo. La consacrazione internazionale è arrivata quando Roger Federer l'ha usata per celebrale la vittoria a Wimbledon (2009) e come colonna sonora in alcuni film come Penelope.




Nei negozi di souvenir i cd dei Sigur Rós sono esposti accanto a quelli di un'altra band islandese nata di recente, Of Monsters and Men: hanno un solo album all'attivo, ma la loro missione è quella di svecchiare e rinnovare il panorama della musica islandese, fermo a Björk e Sigur Rós.

Tra i vari nomi islandesi emersi grazie a Eurovision, che in Italia non caga nessuno, ma nel resto d'Europa un po' sì, abbiamo Eyþór Ingi Gunnlaugsson: la sua Ég á líf (Ho una vita) è arrivata 17° a Eurovision 2013, gli spettatori lo ricorderanno di più per la sua vaga somiglianza a Thor dopo il pranzo di Natale dato che la sua canzone sembra unire i balletti dell'oratorio a un brano scartato per la colonna sonora del Re Leone.
Il video, dove Eyþór appare in persona scrutando il mare con la sua voce in sottofondo è una delle cose più islandesi che mi sia capitato di vedere ultimamente, dal cielo plumbeo al biondo col cappellino di lana.






L'ultimo nome che faccio per la musica islandese è Emiliana Torrini. Finalmente un nome che posso scrivere senza usare tasti extra della tastiera. Emiliana (padre italiano, madre islandese) è una star in Islanda dal 1994, dopo aver vinto un concorso di canto locale. Sette album all'attivo, di cui tre esclusivamente per il mercato islandese, numerose collaborazioni con artisti internazionali, il suo nome comincia a farsi lentamente largo sul continente un paio d'anni fa, con il singolo Jungle Drum e dopo aver cantato un White Rabbit, un remake per la colonna sonora del film di Snyder Sucker Punch (2011). Ha anche partecipato alla colonna sonora del Signore degli Anelli, ma non se la ricorda nessuno.

Si capisce che l'estetica folle e colorata non è una prerogativa di Bjork, ma islandese. Jungle Drum non è stato un tormentone, piuttosto è uno di quei brani che forse hai sentito un paio di volte in radio o in qualche pubblicità. 
Dopotutto il 2009 è stato l'anno di Single Ladies.




Forse se proprio serve un gruppo islandese trash nel senso di "Queste sono le classiche canzoni che metterebbero solo il giovedì sera nelle discoteche di Trecate o agli autoscontri" allora sono i Gusgus, ma siamo già nell'house come genere.






L'argomento eurotrash è vasto e c'è talmente tanto materiale che si potebbe andare avanti ore solo su stati come Romania, Germania o Moldavia.
Magari tra una decina d'anni alcune insospettabili canzoni attuali saranno elevate a trashate dai posteri e allora scopriremo nuovi generi musicali come la bubblegum dance.

RAM dei Daft Punk è davvero un bell'album secondo me, ma non sarà Get Lucky che tornerà tra qualche anno nei revival degli anni Dieci, no, secondo me sarà questa:



In un video fresco fresco di settimana scorsa. E' solo un assaggio, l'originale dura quasi 6 minuti, ma hanno capito che la sentiremo così tante volte che hanno voluto fare un riassunto di quello che ci tartasserà nei prossimi revival. Tra qualche anno sarà difficile credere sia un brano del 2013.

I Daft Punk, per la cronaca, sono francesi. 
Io ho creduto per anni fossero inglesi, invece no. Francesi, come Bob Sinclair, i Noir Désir, Alizée e tanta altra bella gente. Anche la Francia merita uno spazio di discussione a parte. E la Spagna pure.


Sento che sto divagando e chiudo la carrellata con la regina dell'eurotrash italiano che non è Ivana Spagna, almeno non per me.



domenica 1 settembre 2013

"Così avrò piedi asciutti da mettere nei miei stivali bagnati"

Il pomeriggio del 21 agosto pioveva a dirotto, diluviava, un muro d'acqua e un muro di nuvole basse sulle montagne intorno al mare. Non vedevo così tanto grigio dai tempi della gita invernale a Pula.

La giornata perfetta per l'orienteering. In breve: ti danno una mappa topografica della zona su cui è segnato un percorso, un punto di partenza e uno di arrivo. Tu devi basarti sulla mappa per completare il percorso senza perderti e finire a Westeros, magari in tempi decenti, non mettendoci 2 anni e mezzo.
Ma così è troppo facile.



Petur, il capogruppo, riunisce tutti quelli che non hanno fatto in tempo a correre nella capanna e ripararsi: "Voi iniziate con l'orienteering" dice: "Poi voi tornate, gli altri escono, voi entrate e loro fanno orienteering".
Normalmente sembra la copia schizzata di Bruce Dickinson, sotto il diluvio con quello strano berretto in feltro grigio e ponpon che si agita quando gira la testa sembra ancora più schizzato del solito: parla, indica il paesaggio, si raccomanda di fare attenzione, poi distribuisce la "mappa" dell'orienteering. Altro non è che un foglio con delle indicazioni, niente disegni, niente mappa.

Il tempo che il foglio impiega a passare dalla sua mano alla mia è già inzuppato. Cerco con lo sguardo occhi familiari emergere da quelle masse di sciarpe, cappucci e giubbotti allacciati fino al mento. Incrocio quelli di Fern, la ragazza inglese che studia francese e tedesco, e il suo sguardo trasmette un misto di sofferenza e rassegnazione. Petur batte le mani, sorride e ci indica le montagne "Divertitevi".
Poi scappa nella capanna.

"Ci hanno fregati, son riusciti a entrare"
"Eh sì. Che tempo..."
"Lascia stare. Dove dobbiamo andare?"

Guardiamo il primo indizio:

Farið að ósnum, þar sem Gísli og fjölskylda hans lentu. þar er annað ljósrit af þessum texta. Hvað heitir ósinn?

Alla parola ósnum il foglio si è sciolto.
Dobbiamo andare dove sono sbarcati. Sbarco-> mare, mare-> spiaggia.

Þingeyri è uno dei più antichi porti dei Fiordi Occidentali islandesi e quel giorno, grazie alla nostra presenza, la comunità è riuscita a superare i 310 abitanti (di solito sono 260). Il paese è composto da una via principale e una manciata di vie laterali.
Poi pascoli. Pascoli. Pecore e mare.
Suscita un certo interesse perché è un ottimo punto di partenza per le escursioni (quando c'è bel tempo, ovvero 4 giorni l'anno) e perché è l'area in cui si sono svolte le vicende della Saga di Gisli (http://it.wikipedia.org/wiki/G%C3%ADsla_saga) il motivo per cui ci trovavamo lì.

Il resto del gruppo si era già disperso in cinque direzioni diverse. Guardiamo verso la distesa di sassi bagnati che forma la spiaggia dove una ragazza (almeno credo) con una giacca rossa ci fa segno di raggiungerla: appena ci avviciniamo riconosco la nostra compagna di classe "Mezza finlandese, un quarto svedese e un quarto americana, una strana combinazione" (si presenta così) che dice di aver capito dove deve andare.
Per comodità l'ho memorizzata come Fanny, la fenice di Harry Potter.
Fanny ci sventola sotto il naso quello che resta del suo foglio di orienteering e indica un punto indefinito verso il litorale sassoso.

Segue una comoda passeggiata di 10 minuti controvento sui sassi bagnati. Una scozzese agguanta una pecora con una zampa intrappolata nel filo spinato e cerca di liberarla con l'aiuto di due tedeschi. La liberano, ma la povera bestia ha la zampa in cancrena:
"Ma è così grave?" chiede Fern
"Secondo me devono amputare, in Finlandia facciamo così" risponde Fanny
"Ma che amputare" sbotta il canadese che ha il coraggio di mettere gli occhiali da sole nonostante i 3km di nuvole che coprono il sole: "Va abbattuta"
"Ma no"
"Ma sì"
"Ma povera pecora"
"Sai quanto costa un veterinario?"
"Ma povera pecora!"



Lasciamo le operazioni di soccorso e rientriamo sulla costa erbosa. Un gruppo s'è radunato intorno alle rovine di una casa: riconosco l'attrezzatura da passeggiatore professionista azzurro fluo e la giacca con la toppa dell'Università di Basilea di Lukas, attrezzatissimo rispetto al tedesco in felpa o all'altra canadese che ha avuto la brillante idea di mettersi le scarpe col tacco. Lukas indica il filo spinato arrugginito che circonda le rovine, invisibile sotto quel muro d'acqua.

"Quindi... questo era il primo indizio?"
Fern scrolla le spalle.
"E ora?"
"Prossima tappa. Hai ancora il tuo foglio? Il mio s'è sciolto"

Farið að nýlegum húsarústum niðri í fjörunni. þar er næsta verkefni. Skrifið á bakhilð.

"Ma è questa la casa vicino alla spiaggia..."
Fanny indica le montagne e sostiene che dobbiamo andare in quella direzione.

La mia giacca assolutamente non impermeabile era impregnata di acqua e la pioggia non accennava a smettere, neanche quando abbiamo lasciato la strada per entrare nel pascolo. E per "pascolo" intendo un enorme prato di erba alta mezzo metro senza sentieri o percorsi artificiali. I fiumi sotterranei erano difficili da vedere e attraversare un tronco sul ruscello col vento non è stato semplice, ma 20 minuti abbondanti dopo eccoci in cima a una specie di collinetta erbosa.




Il vento era insostenibile, buttava letteralmente per terra. Ho visto una ragazza venire buttata nel fango come se fosse stata appena colpita da un destro di Rocky Balboa.
Di procedere non se ne parlava. Mi guardo intorno: Fern stava lamentandosi dei piedi bagnati, Lukas e il canadese aiutavano la ragazza ruzzolata nel fango che ora sembrava Shakira alla fine del video di Suerte quando si rotola in una pozza fangosa. Un'americana ha preso talmente tanta acqua in faccia che le ha fatto sciogliere il mascara e ora sembra Alice Cooper. La francese bionda, invece, pare Kesha. Si avvicina una tedesca a piedi nudi, che tanto "Piedi bagnati per bagnati".

Fanny s'è allontanata e sta parlando con un signore anziano mai visto prima che cerca di difendersi dalle intemperie con un ombrello azzurro.

"Cosa stiamo cercando?"
"Un sasso con del sangue rappreso sopra"
"...scherzi? Non era la casa sulla spiaggia?"
"No, quella l'abbiamo già vista"
"Quanti indizi mancano?"
"Cinque"

Tra le montagne le nuvole sono diventate nere e il vento s'è fatto talmente forte che se non ci aggrappiamo l'un l'altra ci sbatte per terra. Ogni passo ora è come mettere un piede in un torrente gelato. La pioggia ha ormai impregnato la giacca e sento le braccia bagnate.
Penso alla piscina riscaldata dietro casa mia, alla mia stanza col calorifero acceso e la volpe artica che sbircia dalla finestra prima che il padrone di casa esca a darle la caccia con un'ascia.
All'hamburger col pane fatto in casa e al bicchiere di Brenvinn, la grappa verde da 80% di alcool creata per nascondere il sapore della carne di squalo putrefatta.



Con una certa amarezza, mi viene in mente di quando ho passato un pomeriggio all'ostello di Reykjavik a ridacchiare per i campeggiatori rimasti sotto il diluvio che si era abbattuto sulla capitale mentre io avevo una splendida camera (condivisa con altre 15 persone, ma vabbè) e un letto caldo dove dormire.

Decidiamo di scendere dalla collina. Io e Fern ci salviamo a vicenda un paio di volte dalla morte o contro un sasso (la mia) o per ibernazione in un torrente (la sua). Attraversiamo un punto in cui l'erba fradicia ci arriva alla vita e sentiamo delle bestie muoversi al suo interno.
Il collegamento con la scena dei velociraptor in Jurassik Park: il mondo perduto è immediato e per nulla rassicurante.

Il tronco di un albero a uso ponte ci riporta al prato quasi normale.
Meno di 5 minuti controvento e siamo al riparo.
"Provo un sacco di rispetto ora per i vichinghi" ulula Fern: "Io non sarei stata qui neanche mezza giornata"
"Quanto c'è rimasto Gisli? Due anni?"
"Due anni"

Massimo rispetto.
Ma non baratterei mai niente di tutto questo per una settimana in spiaggia.