venerdì 11 ottobre 2013

E comunque, non so perché, ma mi dispiace

Poco meno di due ore fa ho pubblicato sulla mia bacheca di Facebook questa immagine:


Quindi sono tornata a perdere tempo su Game of Thrones Ascent, lamentando la pessima scelta della posizione per l'edificio dei Tyrell, con tutto lo spazio che c'era l'hanno messo tra quello di Lannister, Stark e Baratheon, creando un'accozzaglia di alberelli, casette e carrelli delle miniere indecente

Poi mi arriva un messaggio privato da parte di una ragazza che ho frequentato durante i miei 6 mesi a Leiden e di cui poi ho perso le tracce:

"Mi dispiace"

In questo lunedì pomeriggio uggioso, ci ho messo un po' a capire cosa volesse dire quel "Mi dispiace" buttato lì, in un messaggio privato da parte di una persona che ho visto per l'ultima volta a maggio 2012. Anzi, non ho proprio capito cosa volesse dire e le rispondo con un pragmatico:

"?"

Il mondo è pieno di svampiti.
Io faccio parte del gruppo ogni volta che ho 5 finestre di chat aperte e finisco per scrivere "ahahahahah" a chi mi ha appena detto "Ho litigato con mia mamma" e "Ouch, come mai?" a chi mi chiede "Ti va se ci vediamo settimana prossima?". Questo "Mi dispiace" credevo rientrasse nella categoria, fino a quando la ragazza in questione mi risponde:

"Per la diagnosi"

La situazione si fa ancora più contorta.
Per rendere il discorso più chiaro chiamerò la ragazza in questione Cristina, così evito lunghi giri di parole e di usare il suo vero nome, nel caso remoto capitasse qui e fosse una di quelle persone che si gonfiano come tacchini quando devono assumersi la responsabilità di quello che hanno detto.
Sta di fatto che
a) O Cristina sa qualcosa sulla mia anamnesi che non so.
b) O non si è ancora accorta di scrivere su una conversazione sbagliata, passando però dal livello "Svampito" al livello "Rincoglionito di grado 1".

"Scusa, continuo a non capire"

Cristina legge, prende tempo. Poi dice:

"Ho visto l'immagine sulle mental illness. Cioè hai avuto coraggio a dire a tutti così della tua malattia :)"

"Ma quale malattia?"

"Quella mentale che ti hanno diagnosticato"


"...ma non ho nessuna malattia mentale"

"E allora perché pubblichi quell'immagine?"

Ho frequentato Cristina per un annetto in Erasmus, poi siamo tornate in Italia, dove io sono tuttora, mentre lei ora vive in un altro paese. Eravamo buone amiche, non abbastanza in confidenza, ma di quelle con cui esci volentieri a parlare di quello che passa per la testa. Questo nostro vecchio legame l'ha spinta a scrivermi, dopo mesi di silenzio: "Ho visto che hai pubblicato qualcosa a favore delle malattie mentali, di conseguenza ti hanno diagnosticato una malattia mentale e mi dispiace".

Spiego poi a Cristina che il mio post non è stato un ammissione pubblica della mia malattia, ma semplicemente un pensiero che ho sempre condiviso dopo aver visto per anni persone che si rifiutavano di ammettere di andare dallo psicologo perché "non voglio passare per pazzo". Abbiamo parlato un po', non so se l'ho convinta, ma almeno ci ho provato.
E ora mi chiedo quanti abbiano fatto il suo stesso ragionamento.

Il messaggio di Cristina mi allarma sotto due punti di vista: il primo è che conferma quanto poco si sa, e quanto poco si vuole sapere, sulle malattie mentali. Il secondo è quell'idea a mio avviso agghiacciante del "Se la questione non ti tocca, perché deve fregartene qualcosa?"


Tutto il blocco classificato come "disturbi mentali" è ancora un enorme tabù, un po' come le malattie veneree,  la prima cosa che viene in mente pensando alle malattie mentali di solito è la pazzia. Nel senso: sei malato di mente = sei pazzo, cosa ci fai in giro? Mannaggia a Basaglia e Orsini che hanno fatto chiudere i manicomi nel 78!
L'ambito di studi è molto recente rispetto a tante altre scienze, forse è anche a questo che va attribuita la confusione in merito. E forse anche all'immaginario popolare che vede gli ex ospedali psichiatrici popolanti interamente da personaggi via di mezzo tra i protagonisti di Qualcuno volò sul nido del cuculo e quelli del  video di The real Slim Shady di Eminem. Un fondo di verità li hanno.

Ma l'errore generale è rilegarle, appunto, a malattie di serie B.
L'errore generale è dire a una persona giù di morale: "Non devi essere triste, c'è gente che sta peggio di te!"
Che è un discorso del cazzo, perché allora quando qualcuno è felice bisognerebbe dirgli: "Non devi essere felice, c'è gente che sta meglio di te!"

Ci sono persone che senza prendere regolarmente lo Xanax (o Alprazolam, contro i disturbi di panico e di ansia) non fanno un discorso sensato, devono prendere lo Xanax come un diabetico deve prendere l'insulina. Prova a dire "Eh, aspetta che prendo lo Xanax" e qualcuno ti potrebbe guardare come un serial killer pronto a colpire.
Le malattie fisiche sono più tangibili e comprensibili, se ti rompi una gamba vai all'ospedale e ti metti il gesso. Se ti salta una sinapsi, eh, non ci metti il gesso.

Anziché fingere che non esistano sono questioni che andrebbero affrontate e meriterebbero di essere affrontate, ma non solo dopo che il soggetto ha ammazzato qualcuno o ha tentato di suicidarsi, perché lì ormai è tardi. Tardi come andare da un paziente affetto da diabete che non si è curato adeguatamente dicendo: "Mi dispiace, ma ti dobbiamo amputare un piede! E' tardi per le cure ormai".
La differenza forse sta nel fatto che nel primo caso il malato poteva far del male agli altri (quindi a me, volendo), nel secondo invece per gli altri non ci sono problemi.


Non ci giro intorno ulteriormente, penso che gli italiani siano un popolo estremamente individualista, la famiglia è il massimo di collettività che si può trovare e, badate, non è una critica: è un dato di fatto. 
Siamo peggio degli olandesi quando si tratta di mantenere e far funzionare i trasporti pubblici ("Se non è mio, è di tutti" contro un nostrano "Se non è mio, non è di nessuno"), però siamo meglio degli olandesi quando dobbiamo tenere in ordine la casa. Alcune case nordeuropee sembrano appena colpite dall'uragano "Non pulisco da 2 settimane", spesso è così.
I nostri diritti sono più che sacri, i nostri doveri, sì, nel senso, un po' anche quelli.

Questo mi porta al secondo punto emerso dalla conversazione con Cristina: "Se la questione non ti tocca, perché deve fregartene qualcosa?"

Dicasi "sensibilizzazione".

If you don't stand for something, you will fall for everything, everybody's got a voice, now stand up and make some noise cantava Alice Cooper in Stand.
Un pensiero talmente logico ed elementare che prima di Alice una frase simile sarà stata incorporata in minimo 200 discorsi. 
Io credo davvero che trattare i disturbi mentali come "malattie di serie B" sia un grosso problema, sotto più punti di vista: causa disinformazione generale, confonde le idee, non permette un trattamento adeguato nei confronti di chi ne è affetto. Quell'immagine là sopra è una delle poche che ho mai incrociato relative all'argomento.

Dire "Mi sorprende che parli di questo argomento se non ti tocca direttamente" è come dire "Mi sorprende tu sia contro l'abbandono degli animali se non possiedi un animale" o "Mi sorprende che tu sia a favore del matrimonio tra omosessuali anche se non sei gay". 
Non ha assolutamente senso, è l'espressione di un pensiero più individualista dei gabbiani che ripetono "Mio?Mio?Mio?Mio?" in Alla ricerca di Nemo.

Che poi, alla fine, se mi va di pubblicare una cosa non capisco perché devo spiegarne il motivo come nelle verifiche di filosofia del liceo "Scegli la risposta e motivala".

E comunque l'edificio dei Tyrell potevano metterlo da un'altra parte.

Nessun commento:

Posta un commento