martedì 31 maggio 2011
Promemoria #1
lunedì 30 maggio 2011
Urlando al demonio
mercoledì 25 maggio 2011
23 is niet genoeg voor mij
Oggi, 24 Maggio 2011, ho rifiutato per la prima volta un voto finale di un esame ( lettura di un testo in inglese e traduzione simultanea in italiano nobilitata con il nome di "traduzione a vista").
Potrò ridare quest'esame solo a settembre quando, si spera, sarò già su a Leida in Erasmus. Si spera.
Ora, a prima vista uno potrebbe pensare: "Perché rifiutare il voto andandosi a ingolfare in date assurde, sapendo già che non prenderai mai un aereo dall'Olanda per tornare e fare un esame di cinque minuti? E che questo slitterà, pensando positivo, a febbraio se non a giugno 2012?" Questione di orgoglio di non scendere al di sotto di quella "soglia 25" che ci si era imposti? O solo gusto sadico di complicarsi la vita alla ricerca di inutili bagarre?
Ah, vero, non devo usare "bagarre". Non sono Guido Meda.
In ogni caso, quell'esame l'ho dato e quel voto non c'è, per mia scelta personale, sul libretto. E devo dire che non mi dispiace affatto :D
domenica 22 maggio 2011
Evoluzionismo poco darwiniano
venerdì 20 maggio 2011
Himnarìki og helviti
domenica 15 maggio 2011
This is just creepy!
« Il fanatismo consiste nel raddoppiare i tuoi sforzi quando hai dimenticato lo scopo ultimo del tuo impegno »
[G. Santayana, Life of Reason vol.1]
Stupidamente (e anche abbastanza ingenuamente) ho sempre creduto che le schiere di fan piangenti, urlanti e più interessati al personaggio famoso in sè che alla musica o alle idee che rappresenta fossero un'esclusiva di quelle band costruite a tavolino, quelle da "una stagione e via", tipo Tokio Hotel, Justin Bieber e tutte quelle band emerse dalle ceneri di Playhouse Disney USA.
Mi sbagliavo. E di brutto.
Non sono nel giro di quel tipo di musica, ma siamo talmente tempestati da informazioni su quel genere di musica che sfido chiunque ad aver mai aperto una pagina di un quotidiano qualsiasi e non essersi trovato una notizia su Britney
Spears qui, una piccola apparizione dell'ultima starlette americana là...
Le band che seguo di solito rimangono nell'ombra (nel senso che se vuoi informazioni te le vai a cercare, a parte quella volta in cui gli Iron Maiden sono stati pubblicamente osannati al Tg2 e ammetto di aver rischiato una sincope quando è successo).
Ma torniamo al problema fan.
Lo scorso 22 Aprile sul sito ufficiale dei Judas Priest (mi basta dire che è una band di dinosauri dell'hard rock inglese e che per sapere altro basta una visita a http://it.wikipedia.org/wiki/Judas_Priest) appare un aggiornamento in cui si dice che KK Downing, fondatore, chitarrista e compositore della band molla baracca eburattini a 2 mesi dall'Ephitaph Tour.
Sgomento e sconcerto, insomma.
Non è stata neppure una di quelle notizie sussurrate nell'aria da tempo, quei "Se ne va? Non se ne va? Che cavolo fa?". Il silenzio dei 2 giorni successivi ha fatto preoccupare non poco (bisognerebbe dire ai signori inglesi che non è carino dire "Me ne vado" e non dire il motivo, è come lanciare una bomba).
Fatto sta che alla fine si è scoperto che lascia per "dissidi con il resto della band e il managment". Ok, bene.
Risparmio i mille discorsi sul "Sapevano che se ne andava, perché hanno continuato a vendere i biglietti del tour?" o "Quel cazzone potrebbe stringere i denti e fare un ultimo tour".
Sinceramente, non me ne frega nulla.
Mi concentrerei di più sui centinaia di commenti che dal 22 Aprile animano il dibattito e soprattutto su quelli a lui direttamente indirizzati.
E qui parte la distinzione:
Questi sono commenti da fan: "Grazie per i concerti fantastici, la vostra musica e i ricordi. Ti auguro il meglio" o "Sarà triste vedere i Priest senza KK!"
Questi sono commenti da fan(atici): "KK mi dispiace per la tua decisione, ma semmai ti annoiassi potresti chiamarmi, ti sposerei volentieri e ti occuperei la giornata, amore mio" o "CON OGGI SONO 8 GIORNI. Ken, ti prego, parlaci, dicci qualcosa. Ogni giorno che passa senza che tu dica nulla è uno schiaffo dolorosissimo per me e gli altri (e il commento va avanti per la bellezza di 12 righe)"
Forse letti così non hanno lo stesso effetto di leggerli in inglese, nella loro interezza e nell'ordine con cui sono pubblicati (questi commenti inquietanti hanno più o meno sempre gli stessi autori e sono lunghi il triplo di un messaggio normale).
Ora mi chiedo: se questi commenti morbosi e inquietanti fossero indirizzati a me avrei i brividi ogni volta che ne leggerei uno.
Se fossi io l'autrice di tali commenti mi vergognerei nel momento stesso in cui li scrivo, ma soprattutto non mi passerebbe mai per la testa di scriverli.
Su Blabbermouth (uno dei siti più importanti per le notizie di musica rock-metal e affini) durante uno di questi dibattiti, un utente ha fatto presente la cosa all'ennesima fan che non disdegnava di diventare l'eventuale sex toy di un ex chitarrista sessantenne, dicendole "Hey, that thing is just creepy!" ("Hey, quella cosa [che hai scritto] è davvero raccapricciante!"), la signorina/signora/che ne so ha risposto: "Non posso neppure esprimere la mia opinione adesso!?"
Non credevo che un dinosauro del rock come KK Downing (dinosauro nel senso buono, è sempre stato uno dei miei musicisti preferiti) potesse risvegliare questi appetiti morbosi tra i suoi fan.
E spesso nel leggere cose del genere mi chiedo: siamo tutti fan, ma rischieremmo di diventare fanatici se mai ne capitasse l'occasione?
Appurato, dunque, che ogni personaggio famoso ha un suo zoccolo duro di fanatici oltre ai fan normali, continuerò a leggere i dibattiti sull'argomento, saltando a piè pari commenti da fan(atici), ma leggendo (e spesso appoggiando) quelli dei fan: mi dispiace che KK ha lasciato, ma
"Dude, life goes on: Priest is not dead. Not yet".
venerdì 13 maggio 2011
Il culto delle principesse non è una favola
C’è una principessa nella testa di ognuna di noi. Dobbiamo distruggerla. Mentre la stampa continua a banchettare sul culto di Kate Middleton, le imprese lucrano sull’insaziabile appetito delle ragazze per i gingilli principeschi: diademi fasulli e manuali di moda alimentano la speranza collettiva che un giorno, se saremo abbastanza buone e belle, anche noi potremo sposare un principe.
Quest’ondata zuccherosa di kitsch rosa scintillante è cominciata a metà degli anni ottanta, amplificando un innocuo sogno a occhi aperti fino a trasformarlo in una spaventosa allucinazione collettiva di buone maniere premiate con privilegi regali. Da quando Disney ha lanciato la sua linea di prodotti Principesse, nel 2000, puntando a infilare tre o quattro ninnoli luccicanti nella stanza di ogni ragazzina, l’ondata è diventata uno tsunami. La linea Principesse ora vale quattro miliardi di sterline ed è il più grande franchise per bambine del mondo. Ma la fiaba non coinvolge solo le più piccole: anche le donne adulte giocano a mascherarsi, organizzano feste in costume da principessa e accorrono a vedere il vestito da sposa di Diana che fa il giro degli Stati Uniti, mentre scrittrici serie dedicano lunghi articoli molto approfonditi ai minimi dettagli dell’esperienza postnuziale di Kate. Siamo tutte impazzite?
Kate Middleton è la perfetta principessa di oggi, nel senso che appare sostanzialmente senza carattere: una bambola da vestire per l’epoca dell’austerità. I nuovi muscoli reali sembrano così rigidamente contratti in quel perenne e lucidato sorriso di docile modesta arrendevolezza che quando ha aperto la bocca per parlare durante la cerimonia in mondovisione, sono sobbalzata sulla sedia. Alla fine si è scoperto che ha detto solo “Sì”, come se qualcuno avesse tirato una cordicella dietro quell’abito principesco per attivare una suono di rituale accettazione.
Per essere una fiaba è sorprendentemente priva di fantasia.
Il breve cammino di Kate da figlia di un milionario a duchessa di Cambridge è stato malamente adattato al vecchio schema di Cenerentola, con commentatori sdolcinati impegnati a descriverla come una donna qualunque che, grazie al fatto di essere carina, poco invadente e opportunamente sottopeso, ha ottenuto in prestito un diadema da principessa e una vita di confronti con la madre di William, tragicamente scomparsa. Middleton non è certo la ragazza della porta accanto, ma il culto della metamorfosi in principessa è, a ben vedere, un culto di mobilità sociale, una fantasia di tradimento di classe grazie alla quale le brave bambine crescendo riescono a ottenere cameriere e maggiordomi. Famosi libri per ragazzi come Il manuale della principessa hanno interi capitoli su come trattare la servitù. Questa è la suprema fantasia della metamorfosi, una favola di autopromozione con volant e lustrini che si dà il caso implica una rigorosa osservanza delle regole della femminilità contemporanea: sorridi e sta’ zitta, sii bella e fatti strada, così verrai ricompensata.
Lo stesso principe azzurro, come osserva Peggy Orenstein nel suo ottimo libro Cinderella ate my daughter (Cenerentola ha mangiato mia figlia) è “secondario rispetto a questa fantasia, nella migliore delle ipotesi una deplorevole necessità”. Una volta infilato l’anello reale al regal dito, una volta acciuffato il vostro principe, nel mondo del reality farsesco e davvero inquietante in onda su Sky, Principe cerca moglie, la sua parte nella storia è finita e la realtà della vita coniugale non compare affatto. Questa visione spietata e mercenaria delle relazioni non è certo un modello positivo per i giovani.
Orenstein osserva che questa principemania è concepita da alcuni genitori come una forma di difesa dalla “sessualizzazione precoce”: il portamatite con il coniglietto di Playboy e le magliette da lolita che altre bambine reclamano a gran voce. Le principesse sono viste come una innocente fantasia che offre virtuosi vantaggi rispetto ai lecca-lecca e ai volteggi intorno al palo della puttanaggine adolescenziale. Sono l’unica a trovare questa scelta non proprio entusiasmante? Alle ragazze vengono offerti due modelli antitetici di femminilità docile e pseudoliberata: la principessa e la pornostar. È un’alternativa che esiste da secoli: vergine o puttana, un bel principe o un bel pappone, chi ti vuoi scopare per conquistare fama e fortuna? Oggi lo spettro colorato delle aspirazioni femminili va solo dal pallido rosa pastello allo sgargiante rosa sexy, con un’occasionale deviazione per il bianco nuziale. Ma lì fuori c’è un intero arcobaleno di esperienze tra cui le ragazze possono scegliere.
La mania delle principesse non è solo un fallimento del femminismo, ma un fallimento dell’intera società che non sa rispettare e valorizzare le sue giovani donne offrendogli qualcosa di più di una inconsistente e rosa fantasia da vissero sempre felici e contenti. Non c’è niente di male nel fantasticare un po’, ma per le bambine di tutto il mondo ci sono sogni migliori che voler solo essere carina come una principessa.